Il tabù delle liste di attesa

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Non si possono ridurre le liste di attesa se non si affronta il tabù dell’appropriatezza della domanda.

I tempi di attesa per visite specialistiche ed esami diagnostici sono una delle maggiori criticità del Sistema Sanitario Nazionale e sono il motivo del forte scontento dei cittadini. Malgrado ciò si continua ad affrontare il problema cercando di intervenire solo sul lato dell’offerta.

Le risorse del Sistema Sanitario sono limitate e costanti nel tempo e, vista la scarsità di medici, destinate nel breve periodo a diminuire. Si può certamente auspicare che queste possano essere incrementate per far fronte alla crescente domanda di prestazioni e servizi sanitari ma, considerando il bilancio dello stato, questa prospettiva è poco realistica.

Fissare i tempi di attesa massimi in funzione della priorità clinica è un principio teorico corretto che rischia però di diventare l’ennesimo parametro che le aziende sanitarie non riescono a rispettare. È un ambito di discussione su cui però è facile trovare il consenso di tutti gli stakeholder, incluso i medici.

Se si sposta l’attenzione sull’appropriatezza e l’efficacia della domanda il discorso cambia completamente per entrare nel merito della competenza dei medici e della loro autonomia professionale, un vero e proprio tabù.

Certamente i presupposti e i motivi per discuterne non mancano. La relazione della commissione parlamentare sugli errori sanitari ha rivelato che il 71% dei medici ammettono di prescrivere esami di laboratorio a scopo difensivo, percentuale che sale al 76,5% per gli esami strumentali.

Gli specialisti ospedalieri lamentano la scarsa appropriatezza delle visite che sono loro richieste e la mancanza di un filtro efficace in grado di indirizzare correttamente i pazienti che necessitano di una rapida presa in carico da parte loro.

Il problema però non riguarda soltanto l’appropriatezza ma anche l’efficacia della domanda. Spesso il paziente, dopo che ha aspettato un periodo di tempo più o meno lungo, viene visitato dallo specialista che gli prescrive degli esami strumentali che gli occorrono per verificare l’ipotesi diagnostica o valutare gli effetti della patologia. Ciò significa un’altra prenotazione con relativa attesa, quindi un’ulteriore prenotazione per la visita con lo specialista per completare il percorso diagnostico – terapeutico.

Per affrontare il problema bisognerebbe potenziare le cure primarie, aumentando la capacità di gate keeping che è loro assegnata. Occorre un’alleanza tra specialisti e medici di medicina generale che, di concerto, definiscano dei protocolli diagnostici da adottare nella valutazione e la prescrizione di esami strumentali e visite. Serve uno scambio di competenze e di esperienze in modo da permettere ai medici di famiglia di essere più efficaci.

Servono poi strumenti informatici adeguati. La cartella clinica elettronica non deve essere soltanto un contenitore di informazioni e un mezzo per eseguire prescrizioni ma un vero e proprio sistema di supporto al medico che lo guidi nel percorso diagnostico – terapeutico.

Servono poi sistemi di tele-consulto e di tele-collaborazione per mettere in contatto i medici di famiglia con gli specialisti con l’obiettivo di evitare visite per patologie che possono essere gestite direttamente dalle cure primarie o di inviare il paziente dallo specialista con i risultati degli esami strumentali necessari.

In poche parole sarebbe necessario affrontare il problema dalla testa anziché dalla coda, riconoscendo che c’è un grande problema dal lato della domanda e cercando, tutti insieme, le migliori soluzioni. Senza tabù e posizioni ideologiche.

 

 

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