Limiti e rischi delle cartelle cliniche elettroniche regionali

Non basta scegliere lo stesso software per avere la stessa cartella clinica né per poter condividere processi e dati clinici.

La centralizzazione degli acquisti a livello regionale ha avuto una forte spinta dal PNRR e dalle gare Consip di sanità digitale. I maggiori investimenti si stanno concentrando sulla cartella clinica elettronica ospedaliera che alcune regioni stanno acquisendo attraverso appalti specifici unici anche se poi ripartiti per ciascuna azienda sanitaria che sono le destinatarie dei fondi disponibili.

Questi appalti prevedono un unico aggiudicatario che contrae l’obbligo e il diritto di fornire la stessa soluzione software a tutte le aziende sanitarie che la richiederanno. Si tratta di un tentativo di omogeneizzare se non standardizzare uno dei software più importanti per la diagnosi e la cura dei pazienti. L’obiettivo sotteso è di poter un domani raccogliere, aggregare e condividere dati clinici in modo più semplice di quanto non sia avvenuto sino ad oggi. Motivazione certamente condivisibile e utile.

Esaminando in dettaglio le modalità e i requisiti espressi nei capitolati tecnici degli appalti specifici ci si rende conto che l’impostazione di queste gare non è funzionale e coerente con gli obiettivi sopra descritti. Non c’è un disegno / modello di cartella clinica elettronica comune. I requisiti descrivono delle caratteristiche e delle funzionalità di base con cui “costruire” e “personalizzare” le cartelle cliniche in base alle esigenze delle singole aziende sanitarie e, all’interno di queste, dei singoli reparti / specialità mediche.

La mancanza di una governance, magari condivisa, su cosa deve essere una cartella clinica elettronica, quale modello dati deve avere, quali funzioni deve assicurare, ha fatto sì che non si è voluto o potuto cambiare il modus operandi che vede ogni azienda sanitaria decidere in autonomia come impostare e realizzare la propria cartella clinica elettronica. Il risultato di questa scelta sarà una estesa eterogeneità di dati e di funzioni, nulla in verità di diverso da quanto già accade oggi.

Eppure in presenza di un’offerta che vede oggi, anche in risposta alla domanda del mercato, dei software che sono di fatto delle piattaforme configurabili per gestire dati e documenti clinici piuttosto che dei sistemi dotati di un proprio modello dati, workflow clinici e set di funzioni “intelligenti“, la scelta di acquisire a livello regionale la stessa soluzione per tutte le aziende sanitarie andava preceduta e accompagnata da una forte iniziativa di progettazione e governo con la partecipazione degli stakeholder, medici in primis. Operazione complessa e non facile, che richiede tempo, grandi capacità e conoscenze del dominio clinico.

Si è scelto invece la strada più facile che preserva lo status quo introducendo però un rischio davvero elevato. La selezione di un solo fornitore, per quanto grande, per regione, solleva forti perplessità sulla reale capacità di questi di far fronte a un impegno così ampio e articolato. Eventuali difficoltà o insuccessi si ripercuoteranno su tutte le aziende sanitarie. Si tratta di un rischio importante che non trova, per le ragioni esposte sopra, alcun vantaggio in termini di omogenizzazione e standardizzazione dei processi e dei dati clinici.

Il tutto partendo dall’equivoco o se volete dalla semplificazione che basta scegliere lo stesso software per avere la stessa cartella clinica elettronica in tutta la regione. A rendere più grave l’errore c’è la consapevolezza che le esperienze fin qui maturate dimostrano come, anche nei casi in cui c’è lo stesso software (ad esempio il laboratorio di analisi), mettere in rete e condividere i dati tra questi è estremamente difficile (codifiche diverse, metodiche differenti, etc..). L’unica eccezione riguarda la diabetologia che tuttavia ha una storia e una tipologia di soluzione software – un prodotto e non una piattaforma – completamente differenti.

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