
Le cronache delle scorse settimane sui problemi connessi all’avvio del nuovo sistema informativo dell’Azienda Ospedaliera di Verona mi spingono ad alcune riflessioni sui grandi progetti e su come questi vengono svolti.
L’idea di risolvere la frammentazione e l’eterogeneità dei sistemi informativi sanitari scegliendo un unico fornitore a livello regionale è molto diffusa e ha trovato un’ulteriore spinta dai finanziamenti del PNRR. In un precedente post (che potete leggere qui) evidenziavo i rischi e i limiti dei progetti regionali di cartelle cliniche elettroniche.
La prima regione che ha provato a sostituire il sistema informativo ospedaliero per tutte le aziende sanitarie è stata il Veneto che nel 2018 ha indetto una gara di 123 milioni di euro, suddivisa in cinque lotti (raggruppamenti di aziende), per la fornitura in SaaS di un SIO. A vincere la gara, nel 2019, sono stati due raggruppamenti che si sono aggiudicati due e tre lotti.
I tempi previsti, complice anche la pandemia Covid-19, si sono notevolmente dilatati e finalmente questa estate è stato messo in esercizio il primo SIO all’Azienda Ospedaliera di Verona. Il progetto, di notevole complessità, è stato gestito dall’Azienda Zero e dai fornitori che hanno configurato il sistema integrato che era stato scelto.
A quanto sembra i medici e gli infermieri dell’azienda sanitaria non sono stati sufficientemente coinvolti nel processo di configurazione, verifica e collaudo del sistema che, una volta messo in esercizio, ha presentato diversi problemi e complicazioni tali da rallentare e rendere difficoltosa l’attività clinica. Questa insoddisfazione è stata ripresa e divulgata da alcuni quotidiani nazionali che hanno raccolto le testimonianze degli utenti e le azioni che le loro rappresentanze sindacali stanno valutando di intraprendere, incluso la possibilità di indire uno sciopero.
Non conosco nel dettaglio cosa sia accaduto e, per questo motivo, non esprimo giudizi sull’operato di chi ha la grande responsabilità di sostituire un sistema informativo ospedaliero in una realtà che è sicuramente complessa. È tuttavia possibile però fare qualche riflessione, magari per imparare dagli errori altrui.
In molti progetti regionali in essere che conosco noto lo scarso coinvolgimento degli utenti e l’idea di “imporre dall’alto” scelte e metodi di lavoro da parte di chi non ha esperienza sul campo o, se la possiede, non è significativa e non può essere presa a modello per tutte le aziende sanitarie. Quando faccio notare questa cosa mi viene detto che i tempi sono ristretti, che è difficile e complicato “dare retta ai medici”, che spesso “non sanno cosa vogliono” e che è impossibile “metterli d’accordo”. Per fare prima e rispettare i tempi si evita dunque un confronto con gli utenti che dovranno, gioco forza, utilizzare quello che è stato deciso per loro, salvo poi provare a rimediare ai problemi che vengono segnalati quando il sistema verrà utilizzato.
Anziché creare valore, i progetti condotti in questo modo creano dis-valore, scontento, frustrazione e, ciò che è più grave, compromettono l’efficienza e l’efficacia della pratica clinica.
La cosa incredible, dal mio punto di vista, è che tutto questo non è una novità. Ci sono tanti esempi, all’estero, di grandi progetti che sono un fallimento, pur potendo contare su molte più risorse economiche e professionali.
Per tornare ai giorni nostri, cosa ne sarà dei grandi progetti regionali di cartella clinica elettronica, affidati per giunta ad un solo raggruppamento di imprese? I cui tempi sono davvero risicati? Purtroppo non è difficile indovinarne l’esito …
Io ho vissuto questa esperienza con il progetto Sisar in Sardegna. Condivido tutto di quello che scrivi Massimo.
Alcune osservazioni possono essere condivisibili ma nel caso del progetto di Verona quanto descritto non corrisponde a quanto sta veramente avvenendo. Credo che sia ormai indispensabile ed improcrastinabile, pena il fallimento della transizione digitale, un radicale cambiamento di approccio all’implementazione di tali progettualità. O si comincia a parlare di progetti di change management, quindi progetti di riorganizzazione dei processi, o tutti i progetti saranno fallimentari se l’approccio continuerà ad essere solo di natura informatica. La comunità ospedaliera sta vivendo questa fatica con non poche difficoltà. Ma la fatica più importante, foriera di un reale miglioramento, è riorganizzare i processi che una nuova soluzione informatica richiede. Ma se si riducono i progetti, anche se tutti “bollinati” da certificati di qualità dei tecnologi, ad un cambiamento di software si andrà sempre più verso la reale decadenza della pubblica amministrazione. In Veneto credo si stia affrontando invece il progetto con questa nuova prospettiva proprio perchè sul carro di conduzione si sono i protagonisti e non solo i tecnologi: infermieri e medici (dimenticandomi anche di molte altre categorie ma solo per semplificare) a cui va il mio sincero continuo ringraziamento. Non tutto fila liscio, soprattutto in un progetto di tale complessità, ma la cosa più importante è che il progetto di transizione digitale in atto possa essere anche un esempio importante per tutta la pubblica amminsistrazione. Anche nel pubblico è possibile cambiare. Solo restando fermi non si sbaglia mai.
PS1: Parliamone.
PS2: vogliamo parlare per esempio do cosa vuol dire coinvolgere i professionisti ed i pazienti nei processi di Telemedicina.
Callisto Bravi
(Verona)