
Non si può realizzare in tre anni ciò che ne richiederebbe venti in un mercato povero di prodotti industriali e di risorse.
Dopo decenni di sotto finanziamenti il PNRR è giunto, inaspettato, come la manna dal cielo, una discontinuità capace di stravolgere il settore e fare recuperare al nostro paese anni di ritardo sulla sanità digitale.
Il PNRR è arrivato però in un settore condizionato da tanti anni di domanda esigua e di bassa qualità che si è riflessa in un’offerta di soluzioni semi-industriali se non proprio artigianali e di un mercato di tecnici e professionisti dimensionato sul giro di affari.
Presi dall’entusiasmo e dalla necessità di rispettare i tempi dettati dal PNRR nonché, diciamocelo francamente, dalla fame e dalla frustrazione accumulate in tanti anni, tutti gli stakeholder si sono dati da fare per impegnare i fondi disponibili senza porsi troppe domande sulla reale capacità del sistema di realizzare i progetti assegnati né sulla loro reale utilità.
Ecco che allora stiamo assistendo, nel circo della sanità digitale (uso questa espressione senza alcun tono denigratorio ma per indicare uno spettacolo vario e di grande fascino), all’uso pregiudicato degli strumenti di procurement, piegati di volta in volta alle necessità impellenti, a bandi “copia e incolla”, a gare regionali di cartelle cliniche elettroniche in un singolo lotto, a progetti molto ambiziosi, come il FSE 2.0, progettati guardando al solo aspetto tecnico e tralasciando tutto il resto (qui un articolo).
Per sopperire alla carenza di personale, i fornitori del settore hanno iniziato una campagna di arruolamento cercando di assumere i tecnici dei loro concorrenti, con il risultato di generare un notevole traffico di persone da un’azienda all’altra, costi in aumento e perdita di competenze e conoscenze che i nuovi arrivati dovranno colmare in fretta.
I principali fornitori, affetti da bulimia commerciale indotta a dire il vero dai meccanismi di procurement che sono stati adottati, stanno facendo incetta di ordini che non riusciranno ad evadere nei tempi previsti. Già prima del PNRR la capacità di delivery era insufficiente, tanti progetti duravano ben più di quanto stabilito. La messa in esercizio di una cartella clinica elettronica ospedaliera richiede, in media, almeno due anni anche se abbiamo esempi di progetti durati quattro – cinque anni.
Vi sembra realistico allora che un fornitore, sia pure in RTI con altri, possa in due anni mettere in esercizio le cartelle cliniche di un’intera regione?
Lo spettacolo non può essere fermato, i biglietti sono stati venduti, tutti sanno che la persona nel baule non sarà tagliata in due.