L’innovazione retrò della sanità digitale tra piattaforme, servizi e riuso

Le tecnologie evolvono ma le logiche di acquisto della sanità digitale continuano a fare riferimento a vecchi modelli basati sul possesso del software.

Sono passati più di venti anni da quando Jeremy Rifkin pubblicò “L’era dell’accesso” in cui preconizzava il passaggio dalla vendita di beni al consumo di servizi, una trasformazione che è avvenuta poi in molti mercati.

Il mondo discografico e quello del cinema ricavano oggi dai servizi di streaming i loro maggiori introiti. La sharing mobility sta trasformando il modo in cui si ci sposta nelle aree urbane mentre il noleggio a lungo termine cresce anno su anno a cifra doppia in un mercato automobilistico in contrazione. Le compagnie aeree non acquistano i motori dei propri velivoli ma comprano ore di volo, come avviene anche nel campo della difesa per interi sistemi.

Cosa avviene invece nel nostro settore? Ci sono, ad essere onesti, gare di full outsourcing che prevedono l’erogazione di servizi ma ce ne sono anche tante che invece prevedono l’acquisto di software e di servizi professionali per la loro implementazione, evoluzione, manutenzione. In entrambi i casi il parametro di valutazione economica dei servizi sono il costo giornaliero delle risorse professionali.

Non c’è un mercato e non ci sono quindi dei riferimenti sul valore dei servizi legati alle attività della sanità, ad esempio il costo per posto letto di un ADT o una cartella clinica elettronica, di una prenotazione per un CUP, di un esame per un LIS o un RIS (cosa che invece avviene per la diagnostica strumentale).

Molte amministrazioni vogliono acquistare e possedere il software, magari facendolo sviluppare ad hoc (green field), cosa che comporta la cessione dei codici sorgenti. Si spiega anche così la spinta verso l’open source e la logica del riuso, due temi che sono presenti nelle gare e nelle convenzioni Consip.

Ma qual è il senso di investire nel possesso del software? In un bene che è soggetto a rapida obsolescenza e che richiede continuo lavoro per adattarsi ai cambiamenti delle componenti su cui poggia e alle minacce sulla sicurezza? E poi, cosa significa possedere un software? Quali garanzie ne derivano?

La tecnologia è molto più avanti di coloro che decidono le politiche di acquisto delle tecnologie digitali delle aziende sanitarie e delle regioni. Ragionare in termini di servizi richiede capacità, metriche e modelli differenti da quelli tradizionali. In un’economia digitale dei servizi il loro valore trascende quello del singolo cliente (come avviene oggi) a patto però di concepire una standardizzazione delle funzioni, abbandonando la logica del “vestito su misura”.

Per entrare davvero nell’era dell’accesso bisogna uscire dalla comfort zone dell’informatica sanitaria tradizionale e ripensare il modello della domanda, abbandonando i paradigmi basati sulla logica del possesso.

One thought on “L’innovazione retrò della sanità digitale tra piattaforme, servizi e riuso

  1. Daniela 26 Dicembre 2021 / 14:22

    Complimenti Max per aver espresso con chiarezza ciò che molti addetti ai lavori pensano. C’è da chiedersi perché la contaminazione, che pur esiste, tra fornitori e clienti pubblici non riesca a condizionare il punto di vista della domanda. In sostanza perché quando ex fornitori diventano manager pubblici non incidono sulle logiche di acquisto . Mah

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