Digital by design: l’ospedale diffuso per migliorare la medicina sul territorio

Con la medicina digitale è possibile estendere la pratica clinica online, superando i limiti fisici e geografici del concetto di ospedale tradizionale.

Siamo abituati a pensare all’ospedale come un luogo fisico con i suoi letti e i suoi ambulatori in cui si pratica la medicina, con un modello che, seppure rivisto in alcuni concetti, risale alla metà del novecento.

Secondo questo paradigma è quindi naturale, per migliorare la medicina sul territorio, pensare di scalare il modello aprendo una serie di strutture sanitarie, case e ospedali di comunità, portando così fisicamente cure e assistenza in prossimità dei cittadini, una sorta di “ultimo miglio” della sanità.

È un percorso iniziato nel 2007 con le Case della Salute e continuato con il Patto per la Salute del 2014-2016 che ha visto la nascita degli Ospedali di Comunità e che troverà piena attuazione, forse, con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR).

È un modello che può essere attuato in quelle aree dove esiste una certa densità abitativa, mentre lascia scoperti i territori insulari, interni e di montagna che non raggiungono un bacino di utenza tale da consentire l’apertura di una Casa o di un Ospedale di Comunità.

Non mi dilungo sui limiti e i problemi che esistono su quanto prevede il PNRR, oggetto di un articolo che uscirà nei prossimi giorni qui sul blog.

La medicina digitale

Il processo di digitalizzazione della medicina ha una portata che non è stata ancora perfettamente compresa, salvo eccezioni, dai professionisti sanitari e dai dirigenti della sanità, sia a livello locale, sia, purtroppo, a livello centrale.

Grazie alla pandemia del Covid-19 si è finalmente capita, gioco forza, l’utilità della telemedicina, sopratutto delle televisite e del telemonitoraggio. Si è compresa l’opportunità di praticare la medicina senza far spostare le persone, né i medici, facendo viaggiare le informazioni.

È un primo passo di un percorso che può essere molto più ampio e che può consentire la concezione di nuovi modelli di cura e assistenza che superino i limiti fisici delle tre dimensioni della medicina tradizionale. Una sorta di “quarta dimensione” in grado di superare il concetto di luogo geografico e di tempo (medicina asincrona o differita).

L’ospedale senza letti e senza ambulatori

L’ospedale da fisico può diventare virtuale, trasformarsi da struttura a centrale di cura e assistenza, in grado di operare su un territorio pressoché senza confini, entrando negli ambulatori delle cure primarie, nei piccoli presidi sanitari o direttamente nelle case delle persone.

Anziché replicare in piccolo gli ambulatori o i posti letto degli ospedali, disperdendoli sul territorio, è possibile portare le competenze degli specialisti là dove servono, costruendo con la medicina digitale una rete di collaborazione clinica multi-professionale e multi-disciplinare in grado di realizzare una vera ed efficace integrazione delle cure.

È quanto ad esempio avviene al Mercy Virtual, il primo ospedale virtuale al mondo, aperto a fine 2015 grazie ad un investimento di 54 milioni di dollari da parte dell’ordine religioso delle Sorelle della Misericordia che gestisce 44 ospedali per acuti e una rete di oltre 700 medici che servono pazienti in Arkansas, Kansas, Missouri, Oklahoma e in alcuni altri stati americani.

Il Mercy Virtual è un ospedale senza letti in cui, in quattro piani, operano 600 tra medici ed infermieri che, attraverso 160 postazioni di lavoro, supportano e monitorano l’assistenza di oltre 10.000 pazienti al giorno. Un medico tiene d’occhio sei monitor allo stesso tempo e controlla i pazienti a casa per assicurarsi che stiano assumendo correttamente i loro farmaci e valuta i loro segni vitali con sensori biometrici e un kit di assistenza “virtuale” che può includere un iPad e sensori da usare a casa una volta dimessi dall’ospedale.

Oppure il caso dell’ospedale di Brecksville, vicino Cleveland, Ohio, di MetroHealth System, che ha tutte le capacità di una struttura convenzionale, sale operatorie, terapia intensiva, sale di infusione ma non ha letti per la degenza. Il paziente trascorre il decorso post-operatorio a casa sua, assistito a distanza dai medici e dagli infermieri dell’ospedale.

L’ospedale diffuso al servizio del territorio

Le tecnologie digitali permettono di ripensare il concetto di ospedale e il suo ruolo nel sistema sanitario. Se infatti è indubbia la capacità di attrazione degli ospedali verso i pazienti che trovano in queste strutture l’esperienza e le competenze che possono aiutarli nella gestione delle proprie patologie, è possibile attenuare questo fenomeno portando queste capacità sul territorio in modo digitale.

Anziché far spostare gli specialisti e chiedere loro di prestare servizio in Case della Comunità o in ambulatori periferici, è possibile metterli in rete con i medici delle cure primarie e del territorio, creando dei percorsi diagnostici integrati e supportati dalle tecnologie.

In questo modo si potrebbe migliorare la capacità e la velocità di presa in carico del territorio dei pazienti con le patologie più rilevanti – diagnosi precoce, portare sul territorio le cure più innovative che sono riservate ai centri ospedalieri di riferimento, rendere più efficace l’uso degli specialisti.

Si otterrebbe, in questo modo, un miglioramento dell’appropriatezza, una migliore distribuzione del carico assistenziale tra i professionisti e, non ultimo, si avrebbe un “empowerment” dei medici del territorio.

Le potenzialità ci sono, serve però la volontà e l’apertura mentale di ripensare, alla luce delle tecnologie digitali, il concetto di cura e assistenza a 360 gradi.

2 – Continua

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