PNRR e assistenza territoriale: cosa dicono i numeri, che non tornano

I valori espressi nelle schede di dettaglio delineano un quadro più preciso da ciò è descritto nel Piano e sollevano molti dubbi sulla sostenibilità a lungo termine del modello proposto.

La missione 6 – Salute del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza prevede il potenziamento e la creazione di 1.288 Case della Comunità che, riporto testualmente, “diventerà lo strumento attraverso cui coordinare tutti i servizi offerti, in particolare ai malati cronici. Nella Casa della Comunità sarà presente il punto unico di accesso alle prestazioni sanitarie. La Casa della Comunità sarà una struttura fisica in cui opererà un team multidisciplinare di medici di medicina generale, pediatri di libera scelta, medici specialistici, infermieri di comunità, altri professionisti della salute e potrà ospitare anche assistenti sociali”.

Il Piano prevede una Casa della Comunità ogni 15.000 – 25.000 abitanti, rapporto che non copre l’intero territorio nazionale e la relativa popolazione. Anche assumendo il valore più alto si arriva ad una copertura di circa 32 milioni di cittadini.

Risorse e costi delle Case della Comunità

Le schede di dettaglio indicano cosa sono stati calcolati i costi che compongono il costo previsto dell’investimento che è di 2 miliardi di euro.

È prevista una struttura centrale di supporto formata da un project manager e tre risorse per un totale di 261,504 euro. Lascia piuttosto perplessi il calcolo che è stato eseguito per stimare il fabbisogno. In 87 giorni il project manager dovrebbe seguire 1.288 progetti, ossia potrebbe dedicare 32 minuti ad ognuno di essi!

Il costo per la realizzazione delle strutture è pari a 1,28 milioni di euro per Casa, per un totale di 1,648.640 euro, mentre i costi tecnologici ammontano a 272.592 euro per Casa, per un totale di 351.098.496 euro.

Questi ultimi prevedono componenti tecnologiche per 192.000 euro e 80.592 euro per l’interconnessione dei professionisti:

  • 60.260 euro per l’acquisto di 23 postazioni di lavoro, così suddivise: 11 per la dotazione della Casa della Comunità; 10 per i medici di medicina generale, 2 per i pediatri di libera scelta.
  • 4.954 per costi di startup
  • 6.187 per la migrazione dati
  • 9.200 per la formazione

Non c’è una voce specifica per il software, né come licenze, né come canoni.

L’appendice uno descrive i costi del personale e la sostenibilità del Piano.

Per ogni struttura sono previsti 5 impiegati amministrativi, 10 MMG, 6 infermieri di comunità. Non sono menzionati né specialisti, né operatori socio-sanitari.

La Casa della Comunità dovrebbe operare 24 ore, 7 giorni la settimana e svolgere funzione di cure primarie e pronto soccorso per i codici bianchi e verdi (come si evince leggendo il prospetto per la sostenibilità).

Tre sono le criticità che emergono:

  1. I medici di medicina generale e/o i pediatri di libera scelta, saranno d’accordo nel trasferirsi in queste strutture e operare 24/7? E se sì, dietro quale compenso, dal momento che non sono previsti costi addizionali? Se il buongiorno si vede dal mattino, le dichiarazioni del segretario FIMMG non lasciano presagire nulla di buono.
  2. La pianta organica è sufficiente per assicurare le cure primarie e il pronto soccorso, per non parlare poi di medicina di iniziativa? Se dividiamo il bacino di utenza previsto per i medici e gli infermieri la risposta è negativa
  3. Che fine hanno fatto gli specialisti? Perché non sono nella tabella?

Assistenza domiciliare

Il Piano prevede la creazione di 602 Centrali Operative Territoriali, una per ogni distretto, con la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari, assicurando l’interfaccia con gli ospedali e la rete di emergenza-urgenza.

Per le Centrali è previsto un investimento di 3 miliardi di euro, più un miliardo per progetti regionali di telemedicina.

Per assistere a domicilio 807.970 pazienti è stata prevista una spesa di 2,72 miliardi di euro in cinque anni.

Per le Centrali Operative sono previsti circa 90 milioni di costi per la ristrutturazione locali, mentre per il software, hardware, migrazione dati e interconnessione sono stati stimati costi per 280 milioni di euro, pari a 341.143 euro per ASL, così ripartiti:

  • 31.897.574 euro per sviluppo software (257.238 per ASL)
  • 2.405.600 per installazione e avviamento
  • 3.187.429 per migrazione dati
  • 4.811.200 per formazione

Per ciò che riguarda il software colpisce la scelta di non eseguire alcuna economia di scala. Frammentare 32 milioni di euro per realizzare tanti software per la stessa funzione è una decisione che è davvero difficile da sostenere.

Telemedicina

Il Piano stima una spesa complessiva di 1 miliardo di euro per progetti regionali o interregionali di telemedicina per supportare i pazienti con malattie croniche.

I progetti potranno riguardare ogni ambito clinico e promuovere un’ampia gamma di funzionalità lungo l’intero percorso di prevenzione e cura: tele-assistenza, tele-consulto, tele-monitoraggio e tele-refertazione.

Per ottenere i finanziamenti, tuttavia, i progetti dovranno innanzitutto potersi integrare con il Fascicolo Sanitario Elettronico, raggiungere target quantitativi di performance legati ai principali obiettivi della telemedicina e del Sistema Sanitario Nazionale, nonché garantire che il loro sviluppo si traduca in una effettiva armonizzazione dei servizi sanitari. Saranno infatti privilegiati progetti che insistono su più Regioni, fanno leva su esperienze di successo esistenti, e ambiscono a costruire vere e proprio “piattaforme di telemedicina” facilmente scalabili.

Sostenibilità del piano

L’appendice 1 contiene i criteri e i calcoli eseguiti per dimostrare la sostenibilità del Piano

Il testo riporta il fabbisogno delle figure professionali coinvolte, sopratutto medici e infermieri, nonché la stima complessiva dei costi previsti.

Al termine del Piano è previsto, per il 2027, un fabbisogno finanziario aggiuntivo di 1,3 miliardi di euro l’anno, considerando 745 milioni di extra finanziamento del SSN previsto dal D.L. 34 del 2020.

Per coprire questo fabbisogno aggiuntivo il Piano indica un ulteriore finanziamento del SSN, pari a 180 milioni di euro e la riduzione della spesa sanitaria in tre ambiti, come illustrato nella figura seguente.

Il calcolo della riduzione delle ospedalizzazioni inappropriate per le patologie croniche si basa sull’effetto che il potenziamento dell’offerta di servizi sanitari territoriali può avere sui ricoveri definiti come “ad alto rischio di inappropriatezza”: diabete, malattia polmonare ostruttiva cronica e ipertensione. A sostegno di questa tesi è riportato uno studio (Starfield B, Shi L. Macinko J. Contribution of primary care to health systems and health. Milbank Q. 2005; 83 (3): 457-502).

La stima è stata fatta immaginando una riduzione, per le tre patologie sopra menzionate, del 90% dei ricoveri pianificati non urgenti, il 90% dei ricoveri con pre-ospedalizzazione e il 40% dei ricoveri urgenti, per una riduzione di 322.254 giornate di degenza, per un risparmio di 417 euro al giorno, per un totale di 134,379,918 euro.

Il risparmio maggiore verte invece sulla riduzione degli accessi al pronto soccorso (21 milioni), di cui circa 16 per codici bianchi e verdi.

Il potenziamento della rete territoriale, in particolare la distribuzione capillare delle Case della Comunità su tutto il territorio nazionale, in grado di garantire l’assistenza sanitaria di base 24 ore su 24 alla popolazione, dovrebbe consentire una riduzione degli accessi al pronto soccorso.

La stima è stata effettuata considerando i dati del flusso EMUR 2019; nello specifico sono stati estratti il numero di accessi con codice bianco e verde che non hanno comportato un ricovero – complessivamente l’87,4% di tutti gli accessi con codice bianco (2.735.519) e codice verde (11.234.872). Il 90% degli accessi con codice bianco (2.461.967) e il 60% degli accessi con codice verde (6.740.923) sono stati considerati evitabili.

La stima della riduzione dei costi dovuta agli accessi inappropriati al pronto soccorso con codice bianco è stata calcolata valorizzando ogni accesso inappropriato con la tariffa del nomenclatore ministeriale della prima visita specialistica pari a € 20,66. Mentre, la stima della riduzione dei costi derivanti da accessi inappropriati al pronto soccorso con codice verde è stata calcolata valorizzando ogni accesso inappropriato con la tariffa pubblicata nel DCA U00442/2015 della regione Lazio pari a € 99,16. La riduzione totale degli accessi impropri al pronto soccorso è quindi pari a € 719.294.197.

Gli interventi previsti per il potenziamento dell’assistenza territoriale, finalizzati alla presa in carico del cittadino e alla promozione del domicilio come primo luogo di cura e assistenza, si tradurranno in una presa in carico integrata e continuativa del paziente e quindi anche in una razionalizzazione delle prescrizioni farmaceutiche, in particolare di quelle classi di farmaci caratterizzati da alto consumo e rischio di inappropriatezza, quali antibiotici, antiulcera e cardiovascolari.
Sulla base dei dati AIFA, pubblicati nel Rapporto “L’uso dei farmaci in Italia. Rapporto nazionale per l’anno 2019” e relativi alla spesa farmaceutica in Italia, sono stati stimati i costi relativi alla riduzione della spesa farmaceutica per le tre classi sopra citate (antibiotici, antiulcera e cardiovascolare).

Tale stima è stata effettuata determinando la mediana della spesa farmaceutica tra le Regioni italiane e calcolando la differenza tra i consumi delle Regioni con valori superiori alla mediana e la mediana stessa, per un totale di € 329.000.000.

Risparmi reali o figurati?

I risparmi che potrebbero derivare dalla riduzione dei ricoveri inappropriati e degli accessi con codici bianchi e verdi al pronto soccorso sono calcolati con delle tariffe o costi di riferimento. Il problema è che, per rendere reali questi benefici, occorre incidere sulle voci di spesa che compongono questi costi, cominciando dal personale.

In altre parole per risparmiare davvero occorre ridurre i posti letto e il personale. Non mi sembra, francamente, una strada percorribile considerando il rapporto posti letto / abitanti che è già tra i più bassi d’Europa.

Alleggerire gli ospedali per potenziare il territorio può essere una scelta intelligente ed efficace, a patto però che il territorio funzioni davvero e che i cittadini possano realmente trovare in questo i servizi e le competenze di cui hanno bisogno.

Non è un percorso scontato, né semplice. Servono modelli efficaci, personale motivato e ingaggiato, tecnologie moderne, fiducia da parte dei cittadini.

2 thoughts on “PNRR e assistenza territoriale: cosa dicono i numeri, che non tornano

  1. andrea consonni 12 Maggio 2021 / 12:20

    appare chiaro che il monumentale documento è stato scritto da molte mani (e teste) diverse senza fare riferimento a strutture o modelli condivisi e senza un’armonizzazione finale; da ciò alcune incomprensibili asimmetrie, omissioni di voci ovvero “centuplicazioni” di software identici senza attivare economie di scala così come messo in evidenza da Massimo. Del resto non credo che chi leggerà (?), in ambito UE, questi documenti saprà valutarli nel dettaglio richiedendo integrazioni ed emendamenti; ciò per problemi di tempo, di lingua, di competenze richieste. Non mi aspetto una valutazione oggettiva ma ho la speranza che la valutazione soggettiva e superficiale che sarà fatta avrà comunque l’esito di dare all’Italia la benzina che le serve. Starà poi a noi, in Italia, realizzare progetti esecutivi reali che non sprechino le risorse ricevute in prestito.

  2. seppeskr1 12 Maggio 2021 / 23:14

    La cosa stridente è che uno dei maggiori finanziamenti è per il digitale
    che dovrebbe essere la base per far funzionare il PNRR.
    In pratica stiamo costruendo una casa iniziando dal tetto mettendo
    le tegole a casaccio. seppec
    https://seppecblog.wordpress.com/

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