La connected care è un miraggio tecnologico?

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La connected care è un paradigma molto in voga tra i fornitori di tecnologie e gli informatici. Ma come ne pensano i professionisti e le aziende della sanità?

Per connected care si intende l’integrazione di nuovi modelli organizzativi e soluzioni tecnologiche, al fine di abilitare la condivisione delle informazioni cliniche dei pazienti tra tutti gli attori coinvolti nel processo di cura (medici e infermieri ospedalieri, operatori sanitari sul territorio e a domicilio, pazienti, referenti istituzionali, ecc.).

Le soluzioni tencologiche ci sono, già da tempo, e sono sempre più evolute. Tra queste ci sono le piattaforme di telemedicina, le soluzioni software per la gestione dei pazienti cronici, le app per i pazienti e, in teoria, anche il Fascicolo Sanitario Elettronico che dovrebbe essere, in questa visione, lo strumento principale di raccolta delle informazioni e di comunicazione tra gli operatori del sistema e con il cittadino/paziente.

Anche i nuovi modelli organizzativi, basati sull’integrazione di diversi ambiti assistenziali (cure integrate), in teoria ci sono, anche se non sempre sono stati progettati includendo nativamente il supporto della tecnologia per garantire la continuità di cura per tutti i pazienti, soprattutto quelli cronici.

Ci sono esperienze, soprattutto all’estero, dove questi modelli di integrazione delle cure supportati dalle tecnologie sono una realtà e funzionano molto bene.

Ma perché allora la connected care rischia di essere un miraggio tecnologico? La disponibilità di tecnologie è una condizione necessaria, ma non sufficiente, perché la connected care diventi una realtà.

La prima cosa che bisogna osservare è, ancora una volta, il differente linguaggio che adoperano i tecnologi e gli operatori sanitari. I primi parlano di connected care e di interoperabilità, i secondi di cure integrate, percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, presa in carico. Non si tratta solo di un problema lessicale ma di un differente punto di vista con cui le parti guardano al problema.

La realtà è che oggi la sanità è poco “connessa” e non soltanto per un problema di mancanza di tecnologie. L’organizzazione della sanità si basa su finanziamenti, ambiti assistenziali, ruoli e responsabilità ben precise. Inoltre, è bene dirlo, la sanità, principalmente quella pubblica, è un sistema in cui le risorse non sono sufficienti per rispondere in modo puntuale alla domanda di servizi che i cittadini richiedono.

Per realizzare un vero modello di integrazione delle cure non è sufficiente dire che si mette il paziente al centro e immaginare dei percorsi in cui questo venga presa in carico dai servizi sanitari in tempi diversi, condividendone le informazioni.

Sarebbe necessaria, al contrario, una profonda riorganizzazione del modello assistenziale, nei suoi diversi ambiti di cura, ripensando il ruolo dei diversi attori, degli ambiti di cura (ospedale, territorio, cure primarie), magari creandone di nuovi (ospedali virtuali o senza letti, centrali di care management, etc..), la distribuzione del personale, il finanziamento e, ovviamente, gli strumenti tecnologici.

Come è facile intuire si tratterebbe di una vera e propria rivoluzione, con tutte le difficoltà del caso. Si pensi ad esempio ai problemi incontrati nella riqualificazione dei piccoli ospedali, la riorganizzazione della rete ospedaliera, i modelli di gestione dei cronici come i CReG in Lombardia. È bene dire che in tutti questi casi le resistenze sono presenti sia tra gli operatori sanitari, sia tra i cittadini.

C’è, a mio avviso, poi un equivoco di fondo, da parte dei tecnologici, sul concetto che le tecnologie siano un fattore abilitante per l’integrazione delle cure (vero). Abilitante non significa che ne permettano la realizzazione, ma che devono essere presenti affinché questa possa realizzarsi.

Concludo con due raccomandazioni ai miei colleghi tecnologi: non chiamatela connected care ma integrazione delle cure; evitiamo di organizzare convegni, workshop e di parlarne solo tra di noi, perché non serve a nulla.

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