
Così è chiamato, tra gli addetti ai lavori, l’atteggiamento dei medici di medicina generale relativo a ogni attività che, a loro giudizio, sia fuori dai loro impegni professionali.
Nella mia lunga carriera professionale ho partecipato, con vari ruoli, a diversi progetti di cure integrate con la medicina generale: telemedicina; gestione cronicità; anziani; rischio clinico. Tre ordini di problemi hanno complicato o compromesso il loro esito: tecnologici; partecipativi; professionali.
L’interoperabilità, sia pure circoscritta ad ambiti ben precisi, con i software gestionali dei medici di medicina generale (MMG) è difficile da realizzare. L’eterogeneità dei sistemi in uso richiede una trattativa con ciascun fornitore che, forte della sua posizione, detta i tempi e i costi degli interventi necessari. A complicare il quadro si aggiunge poi il fatto che ogni medico inserisce i dati in questi software a suo modo e che non è quindi facile condividerli con altri sistemi.
Il coinvolgimento dei medici di famiglia è poi complesso da ottenere. L’atteggiamento prevalente è di tentare di capitalizzare ogni attività che, a loro giudizio, sia extra rispetto a quanto previsto dall’Accordo Collettivo Nazionale e dagli accordi integrativi regionali. Questo comportamento è chiamato, dagli addetti ai lavori, la sindrome del juke-box.
Per i più giovani che non hanno dimestichezza con questo apparecchio che popolava bar, stabilimenti balneari e in genere luoghi di ritrovo, il juke-box era un giradischi meccanico con molti dischi in vinile a 45 giri che si attivava con l’inserimento di una moneta. Qualche volta, pur inserendo la moneta, il disco non partiva per qualche problema meccanico.
Coinvolgere i medici di famiglia richiede di solito una remunerazione per le attività che devono essere svolte o, in alcuni casi, per i dati che devono essere estratti dai loro sistemi. Più difficile è tentare di legare la remunerazione agli esiti anche se a volte si contratta un modello ibrido.
Il coinvolgimento dei medici di famiglia non è però legato soltanto all’aspetto economico ma, in alcuni casi, si complica per ciò che riguarda la loro responsabilità professionale. Ad esempio nel telemonitoraggio di pazienti cronici che coinvolge i medici di famiglia, notificando loro i valori fuori soglia dei loro assistiti, di chi è la responsabilità di gestire, a livello medico, questo problema? Oppure quale responsabilità professionale hanno i MMG nella compilazione del Patient Summary? Cosa succede se questo è incompleto o inesatto?
Questi aspetti talvolta trascendono dalla eventuale remunerazione che può essere associata allo svolgimento di questi compiti. Quando il rischio viene ritenuto elevato o l’impegno eccessivo, non c’è verso di arrivare ad un accordo.
Spesso questi aspetti finiscono con il pregiudicare l’esito di progetti di cure integrate che, come è giusto che sia, prevedono la partecipazione dei medici di famiglia che però, in quanto liberi professionisti in regime di convenzione con il SSN, possono o meno aderire a queste iniziative.
Sono anche queste le motivazioni che stanno dietro al dibattito in corso sulla possibilità di collocare la medicina di famiglia dentro il SSN, passando da un regime convenzionale a un rapporto di dipendenza strutturato nelle aziende sanitarie territoriali.
Devo anche dire, per onestà, che conosco medici di famiglia che interpretano il loro ruolo in modo ammirevole, ad esempio visitando in ospedale i loro assistiti e dialogando con i loro colleghi ospedalieri. Si tratta però di scelte personali che non rappresentano, purtroppo, l’intera categoria.
Voi, che cosa ne pensate?
Penso che hai ragione da vendere Massimo.