Quanto è difficile replicare un modello di cura innovativo supportato dalle tecnologie?

È stato importante “sdoganare” le attività in telemedicina, ma non basta.

La trasformazione profonda dell’ecosistema della salute deve partire dalle policy sul cambiamento di ruoli e responsabilità dei professionisti e dei cittadini, anche se tecnologie (a distanza o meno) sono chiamate ad innestarsi nei modelli di cura, come un elemento essenziale della progettazione.

La pandemia ha generato un vivo interesse intorno alle tecnologie digitali; si parla ovunque di #telemedicina e #SanitàDigitale, #ConnectedCare, dalla gestione dei piani vaccinali fino al supporto della gestione integrata della cronicità. L’adozione spontanea della “tele-visita” e le «Indicazioni» approvate dalla Conferenza Stato-Regioni hanno suscitato l’impressione che l’adozione delle soluzioni tecnologiche non abbia più ostacoli, e sia ormai una mera questione di disponibilità di fondi. In realtà le Indicazioni si concentrano sulla qualità delle procedure a distanza, senza inoltrarsi sui modelli di cura più articolati che le inglobano, ad esempio quelli che richiedono ai professionisti sanitari e sociali di “fare squadra” per la presa in carico del paziente multi-patologico e/o fragile (dove i servizi a distanza sono più utili).

In un report dell’Istituto di Ricerche sulla Popolazione e le Politiche Sociali del CNR, in via di pubblicazione, affronto il problema di replicare i Modelli di Assistenza supportati dalle tecnologie, partendo dalle seguenti considerazioni:

  • le migliaia di esperienze documentate nella letteratura nazionale e mondiale sono solo la punta di un iceberg rispetto al numero enorme di iniziative sviluppate sul campo spesso, al di fuori di una programmazione complessiva;
  • è arduo ricavare le “lessons learned” dalle loro descrizioni, quando disponibili: di solito sono molto dettagliate sulla popolazione target e sui risultati, ma non adeguatamente approfondite sui rapporti tra professionisti, paziente e caregiver nel Modello di Assistenza realizzato e sul supporto fornito dalle tecnologie; quindi è difficile confrontarle, valutarle e portarle a sistema senza modelli di riferimento con i dovuti adattamenti locali;
  • ciononostante, è ampiamente dimostrato che interventi ben progettati portano a una forte riduzione dell’utilizzo di risorse (tra il 20% e il 50%), anche se non è facile riallocare in tempi brevi le risorse non usate;
  • i Modelli di Assistenza innovativi (soprattutto per la presa in carico integrata: ospedale + territorio, sanitario + sociale) devono essere progettati di pari passo con le soluzioni tecnologiche, con varianti adattate al contesto locale e che evolvono nel tempo: non può esistere un modello unico valido in tutte le situazioni;
  • le difficoltà di adozione di una iniziativa dipendono sia da fattori di contesto (es. policies, finanziamenti, regolamentazione, maturità della collaborazione tra i professionisti), sia da fattori “interni” al Modello di Assistenza adottato con le tecnologie corrispondenti; per i Modelli di Assistenza più articolati, i fattori interni sono più esigenti e richiedono più maturità per le dimensioni di contesto, quindi l’adozione è più difficoltosa.

Replicare dei Modelli di Assistenza innovativi di provata efficacia richiede un’attenta programmazione pluriennale, con risvolti diversi a livello locale, regionale e nazionale. La riconciliazione a posteriori tra iniziative indipendenti può rivelarsi particolarmente onerosa (come succede per l’interoperabilità delle tecnologie).

Occorre bilanciare gli approcci bottom-up con quelli top-down: valorizzare le iniziative attivate bottom-up in un ambito locale e su problematiche specifiche, grazie all’impegno dei “champion”, e replicarle in altri contesti con una regia top-down (es. adattarle in modo uniforme in altri ambiti locali nella stessa regione o a livello nazionale, oppure generalizzarle ampliando le problematiche affrontate).

Serve un approccio di sistema, a più livelli:

In questa progettazione è fondamentale capire come i fattori “esterni” (precondizioni ed ostacoli individuabili nel contesto locale, regionale, nazionale ed internazionale) interagiscono con i fattori “interni” di una iniziativa (caratteristiche specifiche per il modello di assistenza sottostante).

Sui fattori esterni esiste una vasta letteratura internazionale, mentre sui fattori interni, che esprimono la difficoltà di un modello ad essere replicato su vasta scala, non è stato riscontrato nessun lavoro.

Ai fini dello studio è stata quindi elaborata una prima caratterizzazione dei principali tipi di fattori interni:

  • Criteri di valutazione, con misurazioni e indicatori uniformi per facilitare scambi di esperienze e sinergie; per stabilire come adattare le varianti rispetto a diversi target di fabbisogni ed al contesto locale; per valorizzare le attività (tariffe, criteri per valutare le offerte nei bandi di gara e remunerare i fornitori); per effettuare studi controllati ed analisi costi e benefici/HTA su vasta scala.
  • Policy continuativa e persistente, necessità di una visione e di un senso di urgenza da parte dei policy maker locali, regionali, nazionali, tradotti in piani operativi dettagliati.
  • Adozione modulabile: se il Modello prevede modifiche drastiche di ruoli, responsabilità e modalità di collaborazione per diverse professionalità, deve essere possibile adottarlo con una progressione di difficoltà crescente, anche per favorire un’adesione motivata e consapevole grazie ad un cambiamento graduale di mentalità.
  • Collaborazione tra strutture diverse con allineamenti degli obiettivi e accordi non abituali (anche in ASL/AO diverse), eventualmente mediati a livello regionale;
  • Fare squadra intorno e con il paziente richiede ai professionisti una disponibilità ed uno sforzo per una collaborazione sistematica, intensa e continuativa, non ancora in essere.
  • Integrazione tra responsabili intermedi per progettare e gestire la trasformazione legata all’introduzione del nuovo Modello di Assistenza; richiede il coordinamento e la collaborazione tra i dirigenti intermedi responsabili di diversi ambiti (middle management), con saperi e pratiche gestionali diversi.

Questi fattori sono stati calati su una ripartizione dei Modelli di Assistenza in otto Aree Omogenee con necessità organizzative e tecnologiche abbastanza simili, definita in precedenza:

A1 – Presa in carico nel lungo periodo di pazienti cronici e fragili

A2 – Episodi di follow-up collegati ad un evento acuto

A3 – Fare rete tra unità operative complementari per la gestione di emergenze e urgenze

A4 – Consulto / seconda opinione

A5 – Interazione tra professionista e paziente (Videochiamata, Ambulatorio virtuale)

A6 – Acquisizione ed interpretazione ricorrente di dati e informazioni (tele-monitoraggio)

A7 – Servizi per la refertazione di segnali e immagini

A8 – Infrastrutture tecnologiche e dispositivi mobili

Sulla base delle principali caratteristiche comuni, per ogni Area è stata stimata la difficoltà di replicare un’iniziativa attribuibile ai singoli fattori, secondo una scala da 0 (trascurabile) a 4 (molto difficile). La tabella qui riportata riepiloga, dal verde per i fattori già ampiamente soddisfatti o di realizzazione più agevole, passando per il giallo e poi fino al rosso per fattori via via più difficili da esaudire.

La tabella rispecchia la penetrazione attuale delle Aree e delle tecnologie nel sistema sanitario italiano:

  • le Aree Omogenee a forte connotazione organizzativa sono poco diffuse:
    • le Modalità di Adozione sulla presa in carico, sia per Long Term Care su malattie croniche e fragilità A1, sia per il follow-up transitorio A2, richiedono una rilevante trasformazione organizzativa sui diversi fattori e quindi presentano più difficoltà nella realizzazione;
    • le reti di emergenza/urgenza A3 richiedono una visione, una policy e risorse persistenti a livello provinciale o regionale, ed una entità (es. la Regione) che faciliti gli accordi tra i partecipanti; le tecnologie non sono l’ostacolo maggiore.
  • le Aree Omogenee a forte connotazione clinica stanno per ricevere un forte impulso, specialmente quando si inquadrano intorno ad una specifica Unità Operativa:

    • il tele-monitoraggio A4 è abbastanza diffuso (es. per i dispositivi cardiaci impiantabili) ed ha trovato ulteriori applicazioni, durante la pandemia, in località già mature;
    • la tele-visita specialistica A5, in cui erano presenti anche servizi out-of-pocket, durante la pandemia ha avuto un impulso enorme, spontaneo, nel settore pubblico;
    • il tele-consulto tra professionisti A6, presenta esperienze importanti per alcune specialità;

    le due Aree Omogenee a forte connotazione tecnologica sono già ragionevolmente diffuse:

    • in effetti la refertazione A7 e le infrastrutture A8 si basano su tecnologie già ampiamente utilizzate.

Non sono a conoscenza di approcci simili, ma ritengo che il problema meriti di essere affrontato in modo sistematico, anche se i risultati possono essere solo qualitativi e soggettivi.

La schematizzazione dei fattori di adozione qui ipotizzata deve essere considerata come una indicazione di massima, uno strumento e un punto di partenza per una discussione tra gli addetti ai lavori. Chi è interessato a parlarne ed a ricevere il preprint dello studio può replicare qui o mi può contattare direttamente (angelo.rossimori@cnr.it).

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