Quanto fa davvero risparmiare la sanità digitale ?

Ogni volta che si parla di sanità elettronica, per spiegare perché è necessario investire in questo ambito, si menzionano i possibili risparmi che la sua introduzione comporterebbe. Non ha fatto eccezione l’interessante trasmissione di Report sull’ospedale 4.0 andata in onda lunedì. Come si calcolano questi risparmi ? Quanto sono attendibili ?

I possibili risparmi sono di solito calcolati attraverso delle stime che, partendo dai benefici o dagli effetti che l’introduzione di un servizio digitale può determinare, vengono poi valorizzati sulla base di costi predeterminati. Ad esempio se un servizio di telemedicina comporta una riduzione di n giorni di degenza, il risparmio viene calcolato in (n x 800) euro, dove quest’ultima cifra è il costo medio di un giorno di degenza in un ospedale. Analogamente un accesso di pronto soccorso vale 100 – 150 euro.

Calcoli simili si fanno per il tempo risparmiato da medici ed infermieri, ad esempio adoperando una cartella clinica elettronica, dai cittadini utilizzando servizi online anziché recarsi di persona presso la struttura sanitaria. In questo caso si conteggia anche, oltre il tempo, il costo del trasferimento.

Il problema di questi calcoli è che in realtà essi indicano un risparmio “figurato“, ossia potenziale. Prendiamo il costo medio della degenza. Questo è composto da costi fissi e costi variabili. I primi sono circa il 70% perché includono anche il personale la cui pianta organica è fissa e non dipende dal numero di letti occupati. Per avere un reale risparmio, a seguito di una sensibile riduzione delle giornate di degenza, bisognerebbe chiudere dei reparti e trasferire il personale ad altre mansioni. Due decisioni molto difficili da assumere per la resistenza, oltre del personale coinvolto, anche della popolazione che avversa ogni riduzione di posti letto, come dimostrano le cronache su ogni riorganizzazione della rete ospedaliera.

C’è poi un aspetto che bisogna considerare. Tranne alcuni casi, come i servizi online per i cittadini, quasi sempre le soluzioni di sanità digitale sono strumentali o, se volete, abilitanti, per lo sviluppo di veri e propri nuovi modelli assistenziali che, oltre alle tecnologie, prevedono personale, logistica, apparecchiature. Estrapolare i risparmi potenziali che un nuovo modello comporta e assumere che essi siano frutto della sanità elettronica, ossia delle soluzioni ICT, è parziale e non veritiero. È il modello, nel suo insieme, che determina, a regime, un risparmio per il sistema sanitario.

Inoltre nelle stime che, a furia di presentarle e commentarle come fossero vere diventano dei veri e propri dogmi, non vengono mai calcolati tutti i costi che il nuovo modello di cura comporta. Se va bene si considerano quelli dell’ICT, a volte neanche questi. Studi su progetti di sanità digitale come ad esempio i Fascicoli Sanitari Elettronici, condotti con criteri scientifici, mostrano break even a dieci anni o più e stiamo parlando di soluzioni relativamente semplici che non si basano su un cambio di modello clinico o assistenziale.

Impostare poi la discussione sull’opportunità di investire in sanità digitale prendendo come riferimento il risparmio economico è riduttivo. La sanità digitale può, non è implicito né automatico, generare valore (Value Based Digital Healthcare), dove questo termine include anche, ma non solo, il risparmio di spesa.

Più che parlare di tecnologie sarebbe quindi più appropriato parlare di nuovi modelli assistenziali e ragionare su come realizzarli, partendo dal loro finanziamento, nonché su come gestire il cambiamento, due aspetti estremamente complessi. Le tecnologie ci sono, evolvono di continuo, rendono possibili nuovi scenari. Non sono però sufficienti, da sole, a cambiare il modo in cui facciamo sanità.

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