Privacy e medici obiettori

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Il Fatto Quotidiano di ieri, nel presentare un incontro pubblico dal titolo “Salvaguardia e sicurezza della relazione medico-paziente nella Sanità digitale”, racconta di alcuni casi di  medici di famiglia che rifiutano di alimentare il Fascicolo Sanitario Elettronico. Questione che stimola molte riflessioni.

L’incontro si è tenuto nel piccolo comune di Marcallo con Casone, in Lombardia, dove esercitava il medico di famiglia Nicola Di Lorenzo a cui, a seguito della sua decisione di fare obiezione di coscienza digitale,  l’ATS di Milano ha revocato la convenzione.

Il dr. Di Lorenzo non è, a quanto pare, l’unico obiettore. Lo stesso articolo cita il caso di Stefano Vignando, medico di medicina generale di Palmanova (Udine) che esercita da 36 anni e così – al fattoquotidiano.it – testimonia la sua “resistenza”: “Io lavoro con carta e penna come 10 anni fa per scelta, non perché sia rimasto indietro con la tecnologia ma perché quando uso il mio pc, rigorosamente disconnesso alla rete, sono in grado di garantire la riservatezza e la certezza dell’inviolabilità dei dati dei miei assistiti. E se tali dati vengono diffusi impropriamente è per mia responsabilità professionale, penale e civile e deontologica. Ma se io li metto in un sistema che porta quel dato nella disponibilità di altri, nello specifico della regione e dei ministeri della Salute e dell’Economia, non sono più in grado di garantire nulla, cioè l’inviolabilità del dato sensibile. Ma l’ho messo in rete io e ne sono il responsabile. Siccome abbiamo come medici un codice deontologico che supera leggi e leggine, vado avanti così e nessuno mi viene a dir nulla. Sanno come la penso”.

L’articolo riporta infine l’opinione del dr. Francesco Del Zotti, vicepresidente di SecurDott, che il Fatto Quotidiano così riporta: “Nelle mani di chi finisca la storia clinica dell’assistito, le sue patologie ed eventuali prescrizioni non è ad oggi così certo”, mette il dito nella piaga Del Zotti. “Mentre sulle schede informative del farmaco vengono riportati benefici attesi, controindicazioni ed eventuali effetti collaterali, tutto lo stile comunicativo che accompagna questa scomposta e massiccia operazione di raccolta dati tramite Fse è improntato all’accentuazione degli aspetti positivi e sottovalutazione, se non proprio omissione, di rischi connessi. Che non sono neppure latenti, visto l’interesse delle industrie e il commercio di big data. Può il medico rifiutarsi di fare da sostituto di garanzie così carenti sotto il profilo della sicurezza? Secondo noi no, deve operare nel supremo interesse del paziente, respingere eventuali pressioni contingenti e semmai adoprarsi per una diffusa cultura del trattamento dei dati sanitari che funga da anticorpo alla tentazione dei click facili che portano ad adesioni non pienamente informate”.

Non conosco in dettaglio tutti gli aspetti dei casi menzionati e non voglio pertanto esprimere giudizi di sorta. Mi viene spontaneo però fare alcune riflessioni che condivido in questo blog.

I medici sono tra le maggiori vittime della perdita di fiducia che oggi, da pare di molti cittadini, colpisce chiunque eserciti un ruolo, una professione. I pazienti sempre più spesso si relazionano con i medici in modo inappropriato, suggerendo diagnosi e terapie, criticando poi spesso le decisioni che questi, forti della loro conoscenza ed esperienza, prendono nell’interesse del paziente. L’asimmetria di conoscenza tra medico e paziente che in passato si manifestava sotto forma di remissività, oggi genera, grazie all’arroganza dell’ignoranza, conflitti e discussioni.

Mi stupisce pertanto che i medici, a loro volta, non abbiano fiducia nei tecnici e negli esperti della sanità digitale e replichino lo stesso atteggiamento dei pazienti nei loro confronti. Anche in questo caso è evidente che esiste una forte asimmetria di conoscenza che però non sembra impedire conflitti e discussioni.

Un’altra considerazione che scaturisce da queste affermazioni è la convinzione, da parte di alcuni medici, che la carta o il PC del proprio ambulatorio siano più sicuri delle infrastrutture e dei server delle ASL e delle regioni. Convinzione che, di nuovo, si spiega con la poca conoscenza della sicurezza IT e con la scarsa fiducia verso i tecnici.

C’è poi, di fondo, il timore o l’idea che chi progetta e realizza queste soluzioni informatiche sia poco attento e superficiale nel considerare i rischi che la digitalizzazione comporta. Chiunque operi in questo settore sa invece quanta attenzione venga riposta su questi temi.

Infine un’ultima considerazione: l’accordo collettivo nazionale dei medici di famiglia prevede, esplicitamente, la trasmissione di dati e informazioni vero le ASL e le regioni. Non si tratta quindi solo di leggi e leggine, ma di un accordo, sottoscritto tra le parti. Che, come tale, andrebbe rispettato.

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