Si fa presto a dire mobile

Mi capita spesso, nel mio lavoro, di assistere a presentazioni di nuovi software per la sanità di aziende di ogni dimensione, dalle grandi alle piccole. Salvo rare eccezioni l’interfaccia utente è di solito progettata avendo come riferimento un desktop computer e per un’interazione di tipo point & click.

I programmatori che le realizzano adoperano ogni giorno smartphone, tablet e app, ma quando devono sviluppare un software, anche in ambiti dove la mobilità è molto importante, ad esempio una cartella clinica o un sistema di assistenza domiciliare, adottano lo stesso approccio tradizionale con cui si sono fatte fin qui queste applicazioni.

Alla mia domanda se il software funziona su tablet o smartphone la risposta che ottengo è “sì, perché l’interfaccia è responsive“. Eppure non è difficile da capire che la responsività è una condizione necessaria, ma non sufficiente, affinché un software funzioni in modo efficiente su un dispositivo mobile.

Non basta infatti che la pagina sia ridimensionata correttamente su uno schermo più piccolo di quello di un desktop computer, ma occorre che i controlli, le funzioni e l’interazione con l’utente siano ottimizzati per l’uso mobile, ossia attraverso il tocco della dita sul video.

Non è solo un problema di dimensione dei controlli, ad esempio dei pulsanti, ma del tipo di controlli che si adoperano e del modo con cui è impostata l’interazione con l’utente. Nei casi in cui la mobilità è un requisito importante è necessario capovolgere l’impostazione, sviluppare in logica mobile first, impiegando framework di sviluppo pensati per tali ambienti. In altre parole pensare non solo alla user interface ma anche alla user experience.

Solo in questo modo possiamo davvero pensare di adoperare con successo in mobilità delle applicazioni, senza doverci trascinare dietro un desktop o un laptop con il relativo mouse.

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