La telemedicina è legge: i limiti, gli errori e le omissioni

Con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale la telemedicina assume il rango che molti auspicavano. Il testo del decreto solleva però dubbi su alcuni aspetti che appaiono concettualmente errati mentre in altri casi non fornisce informazioni su come rappresentare e utilizzare i dati.

Sono consapevole di essere una voce fuori dal coro di tutti coloro che hanno salutato con entusiasmo e soddisfazione l’approvazione del decreto che definisce i requisiti funzionali e i livelli di servizio delle linee guida per i servizi di telemedicina. Ci sono, a mio avviso, dei limiti che derivano dall’impostazione che si è voluto dare alla telemedicina, degli errori concettuali e degli aspetti che sono solo accennati e che invece sono determinanti per poter utilizzare e condividere i documenti e i dati che verranno prodotti. Andiamo allora con ordine a esaminarli uno alla volta.

La telemedicina come mondo a sé stante

Tutta l’impostazione del decreto è basata sulla considerazione della telemedicina come una pratica medica a sé stante. In realtà si tratta di una modalità innovativa attraverso la quale svolgere a distanza (da cui il prefisso tele) pratiche sanitarie di routine svolte in presenza come la visita, il consulto, il monitoraggio di parametri e l’assistenza. La telemedicina non sostituisce la medicina in presenza ma piuttosto la integra, estendendone il campo di azione (ad esempio il domicilio del paziente) e l’ambito temporale. La medicina è e sarà sempre più “ibrida”, la cura e l’assistenza sarà svolta parte in presenza, parte in remoto. Per questa ragione gli strumenti che clinici ed infermieri adoperano devono essere unici e consentire la gestione del paziente (case e care management) in modo integrato. Non ha senso separare i piani di cura per modalità (presenza o remoto), né tantomeno aumentare la già elevata frammentazione dei sistemi clinici.

Architettura a micro-servizi

Coerentemente con i canoni tecnologici attuali è previsto che l’architettura delle infrastrutture regionali siano, al pari di quella nazionale, basate su micro-servizi. Questi sono di quattro tipologie:

  • Specifici, ossia “quei micro-servizi logico/funzionali essenziali e propri per l’erogazione dei servizi di telemedicina
  • Trasversali, i “micro-servizi logici necessari, nel singolo contesto regionale, per l’integrazione con i servizi funzionali all’erogazione delle prestazioni siano esse erogate in presenza e/o in telemedicina
  • Opzionali, i “micro-servizi che possono essere inclusi all’interno del perimetro di funzionalità delle iniziative progettuali di telemedicina presentate dalle regioni, ma che non rappresentano un presupposto necessario per lo sviluppo dei servizi minimi, in quanto non strettamente necessari per l’erogazione delle prestazioni in telemedicina“.

Ciò che lascia perplessi è però la tabella che illustra la classificazione dei servizi previsti.

Come potete osservare sono classificati come trasversali soltanto la gestione della rendicontazione / fatturazione (billing), la prenotazione (booking), la refertazione e il visualizzatore dei dati clinici. Tutti gli altri sono specifici o opzionali. Chi ha definito questa tabella ha considerato specifici un insieme di servizi che si utilizzano nella gestione della cronicità in presenza, ad esempio il case / care management, la definizione dei percorsi di cura, l’arruolamento (onboarding) e così via. Persino il motore di workflow è “specifico”, cosa che lascia intendere una gestione separata tra medicina a distanza e quella in presenza. Servizi che in diversi casi sono già operativi all’interno di sistemi territoriali, ad esempio l’ADI.

Dati sì, ma come?

Nel documento è posta molta enfasi sui dati strutturati e su come questi debbano alimentare l’Infrastruttura Nazionale di Telemedicina. La questione privacy è solo accennata affermando che le infrastrutture devono essere conformi alla normativa GDPR. La centralizzazione a livello nazionale di dati sensibili presenta molte criticità e rischi per la privacy che nono citati né affrontati.

Non meno critica è la modalità con cui rappresentare e registrare i dati. Come verranno espresse la pressione arteriosa, la temperatura o la glicemia? In altre parole come verranno codificati questi dati? LOINC? SNOMED? Non si tratta di una scelta semplice. Immaginiamo si scelga LOINC. Chi conosce questo sistema di classificazione sa che ad esempio per la glicemia nel sangue esistono molti codici in funzione di cosa si misura (unità di misura), dell’intervallo di tempo (e di altri aspetti che non riporto per semplificare). Quale codice abbinare alla misurazione della glicemia svolta dal paziente a casa con un glucometro? La risposta corretta sarebbe in funzione dell’aspetto temporale (a digiuno, dopo pranzo, etc..). Sono aspetti che andrebbero definiti e condivisi a livello nazionale.

Gli eventi come elemento chiave

Un altro aspetto che non è approfondito è quello relativo agli eventi, malgrado nel documento venga loro attribuita grande importanza. Anche in questo caso non si menziona come questi verranno codificati. Una scelta possibile sarebbe utilizzare SNOMED, peccato però che l’Italia, a differenza di altri paesi europei, non abbia adottato questa sistema di classificazione. Codifica a parte è necessario comprendere e condividere cosa si intenda per evento dal momento che da un punto di vista clinico ci possono essere diverse interpretazioni su come definirli e trattarli.

Profilare con i dati

A lasciare perplessi ci sono poi alcune affermazioni che sembrano essere basate sulle potenzialità tecnologiche piuttosto che sulla loro reale praticabilità e sulla significatività clinica. Cito testualmente: “La trasmissione di tali dati dal contesto aziendale verso quello regionale prima, e quello nazionale poi, permette di validare i workflow clinici implementati a livello regionale grazie all’identificazione degli eventi afferenti ai servizi di telemedicina. Ad esempio, sarà possibile identificare l’inizio e la fine di un percorso di assistenza domiciliare per un paziente in regime di dimissioni protette oppure acquisire a partire dagli alert registrati nei piani di telemonitoraggio, le informazioni necessarie per la segmentazione della popolazione di pazienti in cluster omogenei (i.e. Population Health Management).” Pensare di classificare i pazienti in base agli alert del telemonitoraggio è decisamente azzardato, per non dire altro.

Errare humanum est, perseverare autem diabolicum

A costo di ripetermi non posso rilevare come, anche in questa occasione, non ci sia stata una discussione e un confronto aperto con tutti gli esperti e gli stakeholder (per evitare che qualcuno pensi che le mie parole siano causate da un senso di esclusione preciso che non sono un esperto di telemedicina) ma, come di consueto, il lavoro sia stato portato a termine da un gruppo di lavoro ristretto che evidentemente non ha affrontato una serie di aspetti cruciali.

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