
Non è sufficiente limitarsi a utilizzare l’ICT per digitalizzare i processi e gestire dati, occorre sfruttare queste tecnologie per raggiungere un numero maggiore di persone rispetto a ciò che possono fare medici e infermieri.
L’allegato relativo ai modelli e agli standard che accompagna il DPCM che modifica il DM71 sull’assistenza territoriale cita più volte l’e-health, la telemedicina (a cui è dedicato un capitolo) e i servizi digitali. Le tecnologie ICT sono finalmente considerate un fattore abilitante per fare rete e realizzare modelli integrati di cura e assistenza.
È una presa d’atto che sancisce la necessità di digitalizzare i processi e operare attraverso la condivisione di percorsi di cura, informazioni, attività e dati clinici, con la consapevolezza che soltanto attraverso l’informatizzazione del lavoro di medici, infermieri, tecnici e assistenti sia possibile concretizzare i modelli assistenziali che il documento descrive.
Un importante passo avanti rispetto al passato e alle logiche dei flussi e dei debiti informativi che pone la sanità territoriale al pari di quella ospedaliera in cui la digitalizzazione dei processi clinici è parte integrante del lavoro di medici ed infermieri.
Ciò che invece manca nel documento, a mio giudizio, è una visione più ampia ed evoluta del ruolo che le tecnologie digitali possono ricoprire nel modello di assistenza territoriale che è stato disegnato e che prevede un numero elevato di medici, infermieri e personale di supporto.
Le tecnologie digitali possono infatti non soltanto assistere i professionisti nel loro lavoro nella raccolta o la consultazione di informazioni o mediante la telemedicina, ma svolgere per loro conto alcune funzioni, ampliando così la platea di utenti (pazienti e non) che si possono raggiungere.
Per realizzare la sanità di iniziativa, specie per i pazienti a basso livello di rischio, è necessario ingaggiare quelle persone che, non avendo problemi di salute, non frequentano i medici di famiglia. Come allora determinare il loro profilo di rischio? Come coinvolgerli in un percorso di prevenzione attiva?
Il discorso può essere esteso anche ai pazienti cronici di bassa complessità. È davvero realistico pensare che l’infermiere di famiglia possa trovare il tempo per contattarli tutti e svolgere il counseling e il supporto motivazionale di persona? Come poi educare i pazienti e supportarli nell’autocura?
Questi sono solo alcuni dei casi in cui l’uso di tecniche di marketing sociale, app e sistemi CRM possono affiancare gli infermieri nel loro lavoro di coinvolgimento attivo con i pazienti, aumentandone la loro capacità professionale.
In altre parole ciò che occorre, per rendere davvero scalabile il modello di assistenza territoriale definito, è di sviluppare degli assistenti e infermieri “virtuali” che possano interagire con i pazienti e aiutare il personale sanitario consentendo così di raggiungere in modo efficace anche i “non (ancora) malati” o i pazienti “semplici”.
Per fare un parallelo con altri settori, pensate a quando cercate online una polizza RCA per la vostra auto; i siti che visitate vi pongono una serie di domande per calcolare la tariffa. In realtà il questionario che compilate serve a identificare il vostro profilo di rischio che determina il premio da pagare.
Rimanendo invece sul piano operativo dell’assistenza territoriale, il documento menziona diversi sistemi informativi ma non introduce quello che a mio avviso è il più importante: la cartella clinica territoriale, un sistema longitudinale rispetto alla vita del paziente che deve raccoglierne i bisogni socio-sanitari, i piani di cura, gli obiettivi fissati (senza i quali non è possibile valutare in modo appropriato gli esiti e quindi l’efficacia degli interventi), le prestazioni, le attività, le valutazione e così via.
Di questo tema parleremo in modo più ampio in un prossimo post.