
Il decreto legge n. 44 del primo aprile stabilisce che la vaccinazione per il Covid-19 costituisce un requisito essenziale per l’esercizio della professione e assegna alle aziende sanitarie una serie di compiti che non possono svolgere per motivi di privacy.
Il decreto legge che definisce la vaccinazione per il Covid-19 un requisito essenziale per l’esercizio della professione sanitaria prevede un procedimento, articolato in più fasi, disciplinato dai commi da 3 a 7.
I datori di lavoro pubblici e privati di operatori sanitari devono trasmettere l’elenco dei dipendenti alle Regioni o alle Province autonome entro cinque giorni dall’entrata in vigore del decreto. Queste hanno 10 giorni di tempo, dal momento in cui hanno ricevuto gli elenchi, per verificare tramite i relativi sistemi informativi “lo stato vaccinale di ciascuno dei soggetti rientranti negli elenchi”. Le stesse sono tenute, “nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali”, ad una segnalazione immediata alle aziende sanitarie competenti dei nominativi di coloro relativamente ai quali “non risulta l’effettuazione della vaccinazione anti SARS-CoV-2 o la presentazione della richiesta di vaccinazione nelle modalità stabilite nell’ambito della campagna vaccinale in atto”
Le aziende sanitarie devono quindi invitare gli interessati a produrre, entro 5 gg. dalla ricezione dell’invito (il cui invio è sprovvisto di termine), la documentazione che comprovi, alternativamente: l’avvenuta vaccinazione; l’esenzione o il differimento ai sensi del comma 2; la presentazione della richiesta di vaccinazione; l’insussistenza dei presupposti per l’obbligo vaccinale (con riferimento a quanto disposto dal comma 1).
Il comma 6 prevede che “decorsi i termini di cui al comma 5, l’azienda sanitaria locale competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza”.
I commi da 7 a 11 prevedono che le aziende sanitarie debbano adibire i dipendenti colpiti dalla sospensione a mansioni diverse, anche inferiori (e con trattamento corrispondente alle stesse), che in ogni caso non implichino il rischio di contagi. Nell’impossibilità di che, i datori sono tenuti a far osservare la sospensione dal lavoro/servizio dei dipendenti, non essendo in tal caso dovuti retribuzione o altro compenso/emolumento.
Gli estensori del decreto legge hanno, come avviene di solito, inserito nel testo questa affermazione: “nel rispetto delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali”.
Il Garante per la Protezione dei Dati Personali il 17 febbraio 2021, prima quindi della formulazione del decreto legge, in una serie di FAQ relative al trattamento dei dati vaccinale nel contesto lavorativo della sanità, affermava che, nell’attesa dell’intervento del legislatore, solo il medico competente possa trattare i dati personali relativi alla vaccinazione dei dipendenti, mentre il datore di lavoro dovrà limitarsi ad attuare le misure indicate dal medico competente nei casi in cui vi sia una temporanea inidoneità alla mansione.
Riassumendo: il decreto legge stabilisce che, in mancanza di vaccinazione, viene meno l’idoneità dei sanitari a operare a diretto contatto con i pazienti e prevede degli obblighi per le aziende sanitarie, nel rispetto però delle disposizioni in materia di protezione dei dati personali.
La domanda è: le FAQ non sono una disposizione? Sono da ritenersi superate dal decreto legge?
In caso di risposta negativa sembrerebbe che tutto l’iter di verifica e accertamento dell’inidoneità sia a carico non delle aziende sanitarie ma del medico competente. In questo caso quindi le aziende sanitarie non possono trattare questi dati né, in generale, quelli delle vaccinazioni dei propri dipendenti.
Non si capisce come possano poi le aziende sanitarie garantire la sicurezza dei propri dipendenti (DLG 81) e dei pazienti se non sono in possesso di queste informazioni.
In attesa che, speriamo presto, il Garante si esprima, magari su richiesta di un’azienda sanitaria, rimane il rammarico sul fatto che, gli estensori del decreto legge, non abbiano affrontato direttamente il tema, risolvendo così ogni dubbio.