Un’interessante proposta su come valorizzare la creatività delle startup.
L’attuale situazione di emergenza COVID-19 ha dimostrato ampiamente come in Italia ci sia un filone creativo decisamente molto ricco anche per quanto riguarda l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione applicato all’ambito sanitario.
Grazie anche alla call del Ministro dell’Innovazione e a molte iniziative a livello regionale abbiamo avuto modo di vedere – e, in molti casi, di apprezzare – soluzioni innovative e interessanti proposte da startup sinora completamente estranee al mondo dell’IT applicato alla sfera sanitaria.
E questo è un gran bel segnale.
Ci sono idee, c’è fermento. E dove c’è fermento nasce sempre qualcosa di buono, magari in mezzo a qualche idea sbagliata, superficiale, fuori contesto.
Ma del buono ce n’è, e tanto.
La domanda che si fanno in tanti, noi per primi, è: quante di queste idee si trasformeranno in mercato reale, una volta terminato il filone entusiastico del “tutto gratis”?
Quante di queste startup riusciranno a compiere il balzo trasformandosi in realtà credibili e di successo, riuscendo a costruirsi un mercato e un parco clienti sufficiente a garantire loro un posizionamento decente?
Il punto di debolezza di moltissime di queste startup è la mancanza di reputation, di capacità di commercializzazione (a regalare sono capaci tutti…), di conoscenza profonda della complessità del sistema sanitario, financo di relazioni.
Alcuni dei grandi player di mercato si stanno muovendo, tentando di comprare le migliori di queste startup. Purtroppo per loro, così non funziona.
Una startup non la si compra così, soprattutto quando è ancora una “vera” startup: lì c’è l’entusiasmo, la passione, a volte anche l’illusione. Non basta tirare fuori il libretto degli assegni per portarsi a casa il 51% e “andare a comandare”.
Ne abbiamo già viste parecchie, di situazioni in cui un’idea vincente e un “cucciolo di impresa” si è letteralmente dissolto una volta portato in pancia a un gruppo industriale che si muove con logiche d’impresa consolidata, con prudenza, con spasmodica attenzione ai costi.
La startup non può muoversi con spasmodica attenzione ai costi e al loro bilanciamento rispetto ai ricavi, non la si può ingabbiare in un conto economico-patrimoniale.
Specularmente, una startup priva di solidissime basi di conoscenza del mercato sanitario, dei suoi bisogni e dei suoi vincoli non riesce a superare i mille ostacoli lungo il percorso che va dalla prima demo al potenziale cliente al contratto di vendita firmato.
Probabilmente la soluzione è il mentoring d’impresa, associato a una piccola partecipazione societaria. La startup vende una piccola quota a un grande gruppo, rimanendo saldamente al controllo e al comando. In cambio riceve competenze che la affiancano per quanto riguarda l’attività commerciale e – quando serve – gli aspetti gestionali puri.
Completa libertà creativa, nessuna intromissione rispetto alle idee e al modo di svilupparle.
Vale la pena, sia per le startup che per i grandi gruppi, di ascoltare questo consiglio.
Cominciate a incontrarvi, a conoscervi. Senza l’obiettivo – da parte dei “grandi” – di colonizzare alcunché.
Senza l’obiettivo – da parte delle startup – di monetizzare un’idea e lasciarla affogare all’interno di logiche industriali.
Conoscervi, capire se ci sono i margini per avviare un’operazione di mentoring e di partnership commerciale. La startup diventa una sorta di “ufficio innovazione” del grande gruppo, rimanendo assolutamente libera di fare, ma anche di sbagliare.
Sta a vedere che funziona!