Ho la sensazione che, ancora una volta, ci si affidi alla tecnologia per recuperare il tempo perduto e rimediare agli errori e all’inerzia del passato.
Mi riferisco alle app con cui si vogliono risolvere una lunga lista di problemi, tra cui:
- lo scarso senso civico di alcuni che violano le regole e che, malgrado i controlli delle forze dell’ordine, non rispettano il distanziamento sociale
- l’insufficiente coordinamento e la poca collaborazione clinica tra tutti coloro che operano sul territorio, a cui si sono aggiunte le USCA
- la frammentazione e la natura prevalentemente gestionale – amministrativa dei sistemi informativi territoriali
- la ridotta diffusione di modelli pro-attivi nella gestione dei pazienti fragili e cronici
- la mancanza di un’infrastruttura ICT a supporto della telemedicina e della telesalute
- l’inadeguatezza dei sistemi epidemiologici e di prevenzione che non sono stati pensati per affrontare una crisi come quella del Covid-19
La lista è in realtà molto più lunga ma non voglio annoiarvi con un lungo elenco di doglianze e recriminazioni.
La tecnologia è uno strumento con cui è possibile realizzare un processo di innovazione digitale che è tale solo se produce dei benefici, ossia del valore.
Le app, nell’immaginario di molti, sono la soluzione o meglio la scorciatoia perfetta per raggiungere e coinvolgere i pazienti. Ma siamo sicuri che sia proprio così? E che basti questo per migliorare l’assistenza dei pazienti a casa?
Le app richiedono, per funzionare, uno smartphone, un account a uno store (Google o Apple), la capacità di selezionare, installare e aggiornare il software, la dimestichezza con questo tipo di applicazioni. Ci sono diverse persone che non possiedono questi requisiti (in senso medico diremmo criteri di inclusione), specie tra gli anziani e i soggetti fragili. Le app poi sono “passive“, ossia richiedono che qualcuno le adoperi.
Quando nella ASL di Lanciano Vasto Chieti ci siamo posti il problema di come realizzare un sistema di sorveglianza domiciliare, abbiamo scelto, anche sulla base dei dati che avevamo, un sistema di recall telefonico automatico (“pro-attivo“) per evitare di escludere una parte dei pazienti. Il sistema chiama due volte al giorno e formula delle semplici domande a cui le persone rispondono.
Sarebbe stato certamente più moderno pensare ad un’app ma non avremmo avuto la stessa efficacia. I dati che abbiamo rilevato mostrano una redemption di oltre il 90%. Dubito che con un’app sia possibile raggiungere gli stessi valori.
Con questo non voglio dire che le app siano inutili ma che è necessario, sia pure in emergenza, pensare ad una strategia multicanale se davvero vogliamo raggiungere il maggior numero possibile di persone.
Le app sono però, impiegando un linguaggio tecnico, solo il front-end del problema. E il back-end? Non è, naturalmente, soltanto un problema di software ma, prima di tutto, di organizzazione: professionisti, modelli, strumenti per la condivisione e la collaborazione clinica, regole di ingaggio e così via.
Insomma anche o soprattutto in emergenza, bisogna affrontare i problemi avendo una visione chiara e completa di tutti i fattori in gioco. Non è possibile rischiare di sprecare tempo e risorse in operazioni poco utili o fini a sé stesse.