La “via italiana” al tracciamento degli spostamenti e dei contatti sembra debba conciliare il rispetto alla privacy e l’autodeterminazione delle persone. È davvero possibile conciliare tutti questi aspetti?
Tracciare la posizione delle persone può servire a due distinti obiettivi:
- verificare se la persona rispetta il distanziamento sociale e le norme che limitano gli spostamenti (“polizia sanitaria“);
- individuare le persone con cui è avvenuto un contatto o i luoghi che si sono frequentati (“indagini epidemiologiche“).
Il primo caso, a sua volta, può riguardare una comunità, come ad esempio permette di fare Google con il suo mobility report, oppure un singolo individuo, ad esempio per verificare se abbia o meno rispettato le norme in vigore. Se per il primo aspetto è sufficiente una percentuale significativa di persone che aderiscono per comprendere il trend in atto, per il secondo è necessario che la persona attivi volontariamente la geo-localizzazione e accetti di essere tracciata. Cosa che non credo avvenga per coloro che sono più restii a stare a casa e a osservare le regole.
Il secondo obiettivo, ossia facilitare il compito dei servizi di prevenzione ed epidemiologia nel ricostruire i contatti e il percorso di un soggetto contagiato, è fortemente dipendente dal numero di persone che accettano di tracciare i propri spostamenti. Se un individuo decidesse di scaricare un’app e di attivare la geo-localizzazione, il tracciamento potrebbe indicare i luoghi dove questa è stata nei giorni precedenti; per associare i luoghi alle persone, ad eccezione del personale che vi lavora, è necessario che altre persone abbiano a loro volta installato e attivato l’app.
La volontarietà della scelta se attivare o meno un’app può dunque incidere notevolmente sull’efficacia complessiva del sistema. In alcuni paesi, dove sia per ragioni politiche, sia per il senso civico delle persone si è deciso di anteporre la salvaguardia della salute ad ogni considerazione di privacy e libertà personali, la scelta è stata netta.
In Italia, così come anche in altri paesi europei, la discussione su come impiegare queste tecnologie è aperta e l’orientamento sembra andare in direzione della volontarietà.
Bisogna però osservare che per contrastare la diffusione dell’epidemia in Italia e in altri paesi si è deciso di applicare un lockdown a tutta la popolazione, limitando di fatto la libertà personale (articoli 13 e 16 della Costituzione della Repubblica Italiana).
La domanda che dunque mi pongo è perché si sia deciso, senza tanto discutere, di tenere le persone a casa (misura che condivido) e ci sia tanta riluttanza a permettere loro di uscire tracciando, per un periodo limitato, i loro spostamenti.
C’è poi un’altra importante considerazione da fare. Tutte queste forme di tracciamento richiedono uno smartphone e un minimo di pratica nel loro uso (ad esempio avere un account su un app store, saper scaricare un’applicazione, etc..). Sappiamo bene che ci sono parecchie persone che non possiedono uno smartphone o non lo sanno adoperare bene. Molte di queste sono anziani, ma non solo, e spesso sono soggetti fragili o a rischio.
Cosa faremo con loro?
Non sarà esattamente lo stesso tema di chi sostiene che non si deve usare tutti la moneta elettronica? E poi perche se una app abbiamo stabilito essere un presidio prescrivibile, non dovrebbe essere installato e disinstallato dalle istituzioni passato il periodo di crisi, come siamo obbligati a vaccinarci?