Con le tecnologie, già disponibili, è possibile ridisegnare la rete di assistenza e cura, abbandonando il paradigma su cui è basata la sanità di oggi.
Immaginate ospedali interamente focalizzati sull’alta e altissima intensità di cura: Pronto Soccorso, Terapia Intensiva e Subintensiva, Blocco Operatorio, qualche posto letto di degenza ordinaria per il post-operatorio.
Immaginate una rete di presidi sanitari “di provincia”, destinati alla bassa intensità di cura e al ricovero di pazienti dimessi dagli ospedali di cui sopra ma bisognosi di un continuum clinico difficilmente gestibile a domicilio.
Immaginate strutture di Medici di Medicina Generale associati al cui interno ci sono anche attrezzature per la diagnostica, posti di day hospital e una piccola sala operatoria destinata a effettuare interventi di routine.
Immaginate un paziente chirurgico dimesso in seconda giornata e portato a casa, assistito a domicilio da personale infermieristico per le poche operazioni necessarie (l’alimentazione della terapia infusionale, la medicazione della ferita chirurgica) e da dispositivi medici collegati alla rete che trasmettono in continuum i parametri vitali.
Immaginate il chirurgo che una volta al giorno si collega in audio/video conferenza per controllare il paziente e per rassicurare i familiari. Pazienti che fanno riabilitazione rimanendo a casa loro, collegati con strumenti telematici e piattaforme di realtà aumentata.
Quello che avete appena immaginato era, sino a qualche settimana fa, uno scenario ai confini tra il futuribile e la fantascienza. Anche se tutte le tecnologie necessarie sono già ampiamente disponibili.
Oggi, in condizioni di rilevante emergenza sanitaria, si comincia a valutare seriamente l’ipotesi di accelerare il processo di adozione di nuovi processi di cura basati sulle tecnologie informatiche e telematiche.
Il problema di oggi non è solamente quello di “visitare in remoto” soggetti potenzialmente affetti dal Coronavirus. Il problema è svuotare il più possibile gli ospedali per far fronte a una eventuale, non auspicata, escalation dell’epidemia. Il problema è anche quello di salvaguardare i pazienti ricoverati dal possibile contagio, gestire al meglio tutte le risorse, umane e tecnologiche.
Da un momento fortemente critico nasce sempre una nuova sensibilità e la conseguente tensione diretta alla risoluzione dei problemi.
La famigerata “morte nera” del 430 aC contribuì in misura considerevole ad aprire una rivisitazione critica dei costumi dell’epoca, troppo esposti a patologie attribuibili a scarsa considerazione dell’igiene da parte dei greci di allora e allo sviluppo della Scuola Ippocratica.
La Peste Antonina (che in realtà fu una devastante pandemia di vaiolo) offrì a Galeno la possibilità di studiare in profondità il fenomeno, ponendo in qualche modo le basi della prima infettivologia.
L’arrivo in Italia della Peste Nera del XIV secolo dC (nata tra Cina e Mongolia) sviluppò un’animata discussione fra medici e – soprattutto a Venezia – diede l’avvio a una vera e propria politica sistemica di Igiene Pubblica.
Le epidemie del secolo scorso furono affrontate – e in larga misura debellate – grazie a un enorme sforzo dell’industria farmaceutica alla ricerca di rimedi definitivi.
È una regola della storia: ogni crisi genera (anche) enormi opportunità.
Oggi è la volta delle tecnologie dell’informazione e delle telecomunicazioni, capaci di disaccoppiare un atto medico o infermieristico dalla compresenza fisica degli attori coinvolti e di limitare fortemente gli spostamenti e – di riflesso – le occasioni di contagio.
Lo stiamo vedendo anche in campi non clinici: le scuole si organizzano con le lezioni virtuali, le aziende applicano in misura massiccia il telelavoro. I Governi di mezzo mondo stanno pensando a contributi finanziari da destinare all’introduzione di tecnologie telematiche capaci di ridurre al minimo indispensabile la mobilità di esseri umani.
Perché quindi non estendere questo ragionamento alla Sanità? Perché non immaginare un piano straordinario di finanziamento allo sviluppo della telemedicina?
Avendo cura di non considerare esclusivamente il suo utilizzo “tattico”, finalizzato alla gestione dell’epidemia di Covid-19.
Con meno di 20 milioni di Euro siamo in grado di attivare piattaforme di teleconsulto e televisita in tutti gli ospedali pubblici italiani; con altri 20 milioni di Euro possiamo dotare tutte le principali strutture di riabilitazione cardiologica e pneumologica di dispositivi di realtà aumentata da affidare in comodato gratuito ai pazienti gestiti.
40 milioni per tutta l’Italia.
In questi giorni, la sola Regione Lombardia ha stanziato la stessa cifra per acquistare mascherine chirurgiche da distribuire al personale sanitario regionale.
Questa è l’occasione da cavalcare per trasformare sul serio, una volta per sempre, i processi di diagnosi, terapia e cura. Non perdiamo questo treno.
Paolo Colli Franzone
Presidente IMIS – Istituto per il Management dell’Innovazione in Sanità