Cure primarie e sistemi informativi regionali: integrazione o inclusione?

L’ampliamento dei compiti delle cure primarie e lo sviluppo di modelli di cura integrati richiedono una maggiore condivisione di informazioni tra medici e pediatri di famiglia e la rete sanitaria territoriale e ospedaliera. Ma come realizzare questo obiettivo?

Ci sono quattro opzioni possibili, alcune delle quali possono essere complementari. La prima, la più semplice, è di realizzare delle piattaforme software dedicate dove concentrare e gestire le informazioni da condividere, ad esempio la presa in carico dei pazienti, i percorsi diagnostico terapeutici assistenziali (PDTA), le attività svolte. Medici di famiglia, specialisti del territorio e ospedalieri utilizzano insieme la piattaforma, ciascuno in funzione del proprio ruolo.

Il problema principale di questa soluzione è che i medici devono utilizzare un altro software per inserire e consultare le informazioni. I medici di famiglia sono di solito restii a lasciare la propria cartella clinica elettronica per un’altra applicazione, anche perché in questo modo si disperdono i dati dei pazienti in due ambienti diversi. Anche gli specialisti, specie quelli di alcune branche, come ad esempio la diabetologia, sono contrari ad utilizzare due software.

La seconda opzione, eventualmente in aggiunta alla prima, è di integrare le cartelle cliniche elettroniche dei medici di famiglia e le eventuali applicazioni specialistiche alla piattaforma di condivisione in modo da evitare la duplicazione del software. Facile a dirsi, difficile da realizzare per diverse ragioni: il numero e l’eterogeneità dei software da integrare; la mancanza in alcuni software di concetti e informazioni che servono per gestire in modo completo un PDTA o un’attività medica; il problema delle codifiche e della coerenza delle informazioni.

Una terza opzione prevede l’uso del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) come elemento di condivisione delle informazioni. Il limite di questa soluzione è la mancanza di funzioni specifiche per i processi di cura e assistenziali. Non tutto si può gestire attraverso documenti, sia pure strutturati. Il workflow di una gestione integrata di una patologia può essere complesso e richiedere anche una certa interattività tra i diversi attori. Anche in questo poi l’integrazione delle cartelle cliniche può risultare difficile e complessa per gli stessi motivi visti sopra.

La quarta opzione, più radicale, prevede l’uso, dai parte dei medici di famiglia e dei pediatri di libera scelta di una cartella clinica elettronica regionale, integrata nativamente con i sistemi territoriali e ospedalieri, come ad esempio il CUP, l’anagrafe vaccinale, il sistema di screening, il sistema di gestione delle cronicità. È la strada che sta seguendo l’Emilia Romagna, non senza difficoltà e resistenze, la cui cartella è oggi utilizzata da circa un terzo dei medici di famiglia della regione. Strada che sarà seguita dalla provincia di Trento e che è sotto osservazione da parte di altre regioni.

Come è facile immaginare la questione principale riguarda l’autonomia dei medici di famiglia che vogliono essere liberi di scegliere e adoperare il software che preferiscono, senza imposizioni da parte delle regioni. La discussione non verte sulle caratteristiche tecniche o le funzioni del software, ma sul principio di autonomia e, in maniera più o meno nascosta, sulla paura di essere controllati dalla regione.

Guardando l’esperienza di altri sistemi sanitari, ad esempio Israele o alcune mutue americane, possiamo verificare che dove è presente un unico sistema informativo, utilizzato sia della cure primarie, sia dagli ambulatori e gli ospedali che fanno parte della rete, si realizza la vera integrazione delle cure grazie alla cartella clinica integrata.

Per ragionare correttamente quindi su quale architettura realizzare per consentire l’integrazione delle cure si dovrebbe partire dalle necessità, dalle opportunità e dai vincoli che ciascuna scelta comporta. Non bisogna affrontare la discussione anteponendo aspetti ideologici o di mantenimento dello status quo a considerazioni tecniche. Se l’obiettivo è di trovare la soluzione più efficace bisogna essere disposti a considerare scelte che richiedono cambiamenti, affinché le cure primarie non siano più un’isola rispetto al sistema sanitario ma al contrario ne siano parte integrante e sostanziale.

Think outside the box!

2 thoughts on “Cure primarie e sistemi informativi regionali: integrazione o inclusione?

  1. Stefano Carboni 5 Marzo 2019 / 23:29

    Grazie Massimo per la tua ottima sintesi.
    Può essere utile ricordare che il sistema “custom”, implementato meritoriamente ed anche pionieristicamente dalla Lombardia ad inizio 2000 ed ora in un certo senso replicato dalla Regione Emilia-Romagna, ha dei costi non indifferenti e non solo, non tanto, per la fase di prima implementazione quanto soprattutto per quella di manutenzione e di successivo sviluppo.
    Sarebbe utile ricordare il caso di Kaiser Permanente, grande assicurazione statunitense con milioni di iscritti, che dopo un paio d’anni di investimenti (con IBM) per realizzare un proprio sistema di cartella, decise comunque di abbandonare il progetto (nonostante l’entità dell’investimento già effettuato) per acquisire un sistema “di mercato” (in questo caso Epics) nella convinzione che in questo modo il costo complessivo della manutenzione e dello sviluppo del sistema non sarebbe rimasto tutto a suo carico, ma sarebbe stato fondamentalmente in capo alla società produttrice del software che aveva tutto l’interesse a manutenere il prodotto ed a farlo crescere.

    • Massimo Mangia 5 Marzo 2019 / 23:58

      Certamente sviluppare o farsi sviluppare un sistema ha dei costi, bisogna però dire che anche i costi che le regioni sostengono per integrare le diverse cartelle cliniche elettroniche MMG/PLS sono molto elevati e non sempre i risultati che si ottengono sono ottimali. Grazie del tuo commento, speriamo che altri vogliano contribuire

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