Non lasciamo guidare la transizione digitale della sanità agli informatici

I tecnici sanno come realizzare un sistema informativo ma non cosa serve o potrebbe essere utile agli utenti. È necessario che questi diventino i protagonisti di questa trasformazione.

Il titolo può sembrare una provocazione ma è la convinzione che ho maturato in tanti anni di lavoro e nelle esperienze che vivo ogni giorno. Vedo soluzioni digitali tecnicamente perfette, magari dotate di gradevoli interfacce utente ma poco utili e innovative a livello funzionale. Sono spesso la trasposizione digitale di quanto si faceva sulla carta o il rifacimento, con nuove tecnologie, di funzioni già presenti nei sistemi che vanno a sostituire.

Siamo un po’ tutti malati di tecnolatria ed è opinione diffusa che l’innovazione, in quanto tale, sia foriera di vantaggi e benessere per le persone. Esistono tante forme di innovazione, quella tecnologica è la più semplice da perseguire e la più affine agli informatici.

La vera sfida è come impiegare l’innovazione tecnologica per migliorare il lavoro di medici, infermieri e personale sanitario. per raggiungere questo obiettivo è necessario però avere competenza sul loro lavoro e la conoscenza dei problemi che vivono e degli aspetti che possono essere migliorati, frutto di solito di esperienza professionale.

Esiste un bias conoscitivo

Non è purtroppo sufficiente, da parte dei tecnici, chiedere agli utenti cosa serve loro. Essi non hanno consapevolezza di cosa possono fare le moderne tecnologie digitali (salvo alcuni di loro che costituiscono però un’eccezione). I loro riferimenti naturali sono ciò che conoscono, ossia i sistemi che adoperano o hanno visto o la modulistica cartacea che utilizzano.

I tecnici, a loro volta, non hanno le competenze per comprendere e valutare ciò che gli utenti chiedono. Consapevoli della loro ignoranza sul lavoro di questi tendono a prendere per buone qualsiasi richiesta non sia particolarmente difficile da realizzare. Ciò che l’utente chiede è sensato e davvero utile? È frutto di una particolare impostazione del lavoro o dell’organizzazione o può essere estesa ed utile a tutti? Quello che è stato chiesto è davvero il modo migliore per svolgere la funzione o il processo che si vuole gestire? Sono alcune delle domande che i tecnici dovrebbero porsi ma delle quali non conoscono la risposta.

L’empowerment digitale dei professionisti sanitari

La soluzione a questo problema è duplice. È necessario, prima di tutto, “potenziare” le competenze digitali dei professionisti sanitari. Ma quali competenze? Non quelle tecniche, contrariamente a quanto spesso si insegna nei corsi di laurea o nei master universitari. È necessario insegnare loro le potenzialità delle tecnologie digitali per aiutarli a comprendere come applicarle e utilizzarle per generare valore concreto per la sanità. L’obiettivo non deve essere di eliminare la carta (dematerializzazione) né di svolgere a distanza attività che si svolgono in presenza, bensì di perseguire, attraverso la digitalizzazione, l’aumento dell’efficienza, ossia fare di più a parità di risorse, l’incremento dell’efficacia (qualità), ossia ottenere risultati migliori in termini clinici e assistenziali, anche evitando gli errori e gestendo il rischio clinico, ridurre la spesa attraverso l’incremento dell’appropriatezza o l’ottimizzazione della logistica.

Per rendere possibile tutto ciò è necessario un percorso formativo di “empowerment digitale” per consentire ai professionisti sanitari di ridurre il gap conoscitivo che questi hanno nei confronti dei tecnologi in modo da consentire ai primi di ragionare su come utilizzare le tecnologie digitali per rivedere, in chiave migliorativa, i processi clinici e assistenziali attuali e progettare nuovi modelli clinici digitali.

Le competenze digitali per il Fascicolo Sanitario Elettronico

Il Decreto Interministeriale del 4 ottobre 2022 ha stanziato oltre 610 milioni di euro per l’adozione e l’utilizzo del Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) nelle Regioni e nelle Province Autonome. Le risorse sono destinate al potenziamento dell’infrastruttura digitale dei sistemi (circa 300 milioni) e all’incremento delle competenze dei professionisti del sistema sanitario (311 milioni) secondo lo schema illustrato nella tabella seguente.

Ci sono quindi ben 311 milioni da impiegare da qui al 2025 per la formazione dei professionisti sanitari. L’importante però è come formarli e su cosa. A mio avviso non solo sul FSE ma, più in generale, su come progettare la salute digitale.

L’empowerment sanitario dei tecnici informatici

Parallelamente bisogna anche iniziare un percorso formativo per i tecnici informatici per insegnare loro come funziona un ospedale, come si opera sul territorio, come si curano le persone. Non si tratta di trasformare dei tecnici in medici o infermieri ma di dare loro un bagaglio di conoscenze utili a comprendere gli aspetti salienti della loro professione e dei processi che svolgono.

In entrambi i percorsi formativi servono docenti qualificati e materiale didattico specifico. Salute Digitale è a disposizione di quanti volessero organizzare corsi di questo tipo.

3 thoughts on “Non lasciamo guidare la transizione digitale della sanità agli informatici

  1. angelo rossi mori 3 Gennaio 2023 / 9:54

    In particolare per il FSE, si confonde l’infrastruttura (il televisore) con il contenuto (i telegiornali, i reality, i documentari, etc).
    Il FSE viene misurato con il numero di televisori comprati, invece che con lo share e il gradimento per fasce di utenti…
    Ognuno il suo mestiere: il tecnico progetta dei buoni televisori, il programmista deve fornire un prodotto che interessa al pubblico.

  2. Enzo Chilelli 3 Gennaio 2023 / 16:23

    Buon anno Massimo esteso a tutti i lettori.
    Quanto è vero ciò che affermi, organizzazione, semplificazione e trasparenza dovrebbero essere i principi su cui basare la trasformazione digitale, di più dice il PNRR, ovvero che deve questa semplificazione deve essere a favore di cittadini ed imprese per rendere più semplice l’accesso ai servizi pubblici.
    Purtroppo non è solo il mondo della sanità ad essere rimasto indietro ma anche altri mondi pubblici. Un esempio?
    Siamo sicuri che oggi serva ancora questa figura nata alcuni secoli fa?

    L’UFFICIALE DI STATO CIVILE si occupa di registrare e certificare tutti i dati personali del cittadino aventi rilievo amministrativo (cittadinanza, nascita, matrimonio o unione civile, morte). Accerta tali dati, che nel loro insieme costituiscono lo stato civile del cittadino, e registra i fatti giuridici che modificano condizioni e situazioni personali. È responsabile del mantenimento dei registri dello stato civile e ha l’autorità per rilasciare gli estratti e i certificati richiesti dai cittadini sulla base dei dati ivi contenuti. Celebra il matrimonio civile e costituisce l’unione civile.

    L’UFFICIALE D’ANAGRAFE si occupa di registrare e di mantenere, nel registro dell’anagrafe della popolazione residente (APR), le posizioni delle persone singole, delle famiglie e delle convivenze che hanno stabilito la propria residenza nel comune. Verifica la verità delle posizioni comunicate dal cittadino e delle dichiarazioni di trasferimento di residenza. Registra inoltre le posizioni delle persone senza fissa dimora che hanno stabilito nel comune il proprio domicilio. L’Ufficio dell’Anagrafe rilascia anche certificati di residenza e la carta d’identità.

    Oggi esiste l’ANPR, ovvero l’anagrafe nazionale, ed i certificati si possono fare online. Delle due l’una, o si elimina l’ufficiale d’anagrafe o gli si affidano altri compiti liberando risorse da altri enti (passaporto, licenza di caccia, licenza di pesca, etc…)

  3. Roberto Maurizzi 23 Gennaio 2023 / 3:05

    Il problema principale è che in Italia chi si occupa di mettere in piedi questi progetti lo fa come si faceva negli anni ’70, cioè qualche dirigente decide tutto in base alla propria idea di come funzionano le cose e nessuno può dirgli che nel suo modello ci sono errori.

    Io dopo 20 anni mi sono rotto le scatole del sistema disfunzionale italiano dove l’informatico spesso deve lottare con dirigenti incapaci e arroganti e spesso anche fare il lavoro del project manager dato che la maggior parte dei progetti sono degli ovvi disastri in attesa di concretizzarsi ed è necessario almeno provare a correggerli se vuoi arrivare ad avere qualcosa di utile… ma sempre senza offendere le sensibilità personali di dirigenti e project manager, ovviamente.

    Sono 12 anni che lavoro in giro per il mondo e guardacaso, fuori dall’Italia, specie in ambiti lontani dalle aziende vecchie, si fa spesso quel che descrivi, che viene chiamato Human Centric Design.

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