Telemedicina, quello che le linee guida non dicono

Ci sono alcuni aspetti, assai rilevanti, che i documenti prodotti non affrontano ma che tuttavia possono rappresentare un serio ostacolo alla diffusione della telemedicina.

La telemedicina è al centro di una serie di iniziative volte alla creazione di una piattaforma nazionale, mediante un PPP promosso da Agenas, al suo utilizzo per l’assistenza domiciliare nell’ambito della missione 6 componente 1 del PNRR (linee guida organizzative contenenti il modello digitale per l’attuazione dell’assistenza domiciliare), alla sua diffusione attraverso la gara di sanità digitale 1 di Consip.

Dopo anni di stasi c’è insomma un grande fermento e ci sono forti aspettative sui benefici e le ricadute che la telemedicina può assicurare al servizio sanitario.

Si sono affrontati aspetti tecnologici, organizzativi e delineati i processi operativi che prevedono l’uso di televisite, teleconsulti medici, teleconsulenze medico-sanitarie, teleassistenza, telemonitoraggio, telecontrollo e teleriabilitazione.

Tutto bene allora? Non proprio. Prendiamo come riferimento i due più importanti documenti di riferimento: “Indicazioni nazionali per l’erogazione di prestazioni in telemedicina” e “Linee guida organizzative contenenti il modello digitale per l’attuazione dell’assistenza domiciliare”.

Le televisite

Iniziamo dalla televisita. I due documenti lasciano al medico la responsabilità di decidere, insieme al paziente, se ricorrere o meno a questa modalità; il primo fissa inoltre alcuni criteri per i quali è possibile ricorrere alla televisita.

Non c’è alcuna riflessione né criterio su un aspetto a mio avviso determinante: l’efficacia di una televisita rispetto a una visita in presenza.

In termini di impegno di tempo le due modalità sono, sia per i medici, sia per i pazienti, equivalenti. Per questi ultimi c’è il risparmio dovuto a non doversi spostare con i relativi costi. Ma sono davvero equivalenti? Hanno la stessa efficacia, anche soltanto nei casi previsti dalle linee di indirizzo? (visite che non richiedono un esame obiettivo completo, in presenza di un PAI/PDTA oppure di un follow-up oppure per controllo della terapia oppure per la sola prescrizione di esami o ancora per la verifica degli esami effettuati).

La risposta non è affatto scontata. Come sa bene chiunque utilizzi sistemi di videoconferenza, l’interazione che questi permettono è diversa e più limitata rispetto a un incontro in presenza. Anche quando si dispone di una valida videocamera, di buone condizioni di illuminazione e di banda sufficiente, tre aspetti niente affatto scontati, il campo visivo è comunque limitato e si perdono molte “informazioni” che ad esempio fornisce il linguaggio del corpo.

La comodità di non doversi spostare può comportare una minore efficacia rispetto a una visita in presenza. Lasciare la scelta al medico e/o al paziente può dunque essere rischioso. Non vedo però alcun dibattito in merito né un’azione delle società scientifiche volte ad approfondire questi aspetti, né iniziative volte a misurare l’efficacia delle televisite. Si tratta di un cambiamento importante che riguarda un nuovo modo di svolgere la professione medica che viene considerato acquisito e non meritevole di una seria analisi.

Il telemonitoraggio

Anche in questo caso, come per le televisite, vengono dati per scontati i benefici che questa forma di controllo a distanza può assicurare. Non vedo alcun ragionamento né sui criteri di inclusione dei pazienti da sottoporre a questa forma di telemedicina né sul rapporto costi / benefici (HTA).

Non trovo neanche delle riflessioni su come attuare il telemonitoraggio. Il mainstream è di dotare il paziente di kit composti da un gateway (dedicato o un tablet), connettività e una serie di dispositivi medici. Non è questo però l’unico modo per rilevare dati a distanza. È davvero necessaria l’infrastruttura descritta prima per avere ogni giorno il valore della glicemia o quello della pressione arteriosa? Non è possibile consentire al paziente di usare soltanto il suo smartphone e magari il dispositivo medico che già possiede? Oppure, come è avvenuto con successo durante il Covid, rilevare questi dati attraverso un sistema telefonico automatico?

C’è poi un altro aspetto che è rilevante e che è poco affrontato: la continuità della presa in carico. Quali sono le implicazioni di questo modello rispetto al carico lavorativo dei medici e alla loro responsabilità professionale? Sono due temi importanti che non si risolvono, come indicato nel documento sul modello digitale dell’assistenza domiciliare, definendo nel PDTA il percorso di gestione degli allarmi e degli interventi previsti che devono invece essere affrontati, discussi e approvati in modo sistemico tra tutti i soggetti coinvolti.

Ancor di più che per le televisite, il telemonitoraggio e i modelli di cura che lo prevedono comportano un cambiamento profondo nel modo di concepire e svolgere la cura e l’assistenza dei pazienti. Anche in questo caso non vedo alcun dibattito né interventi da parte delle società scientifiche.

Sia chiaro che non sono contrario alla telemedicina ma ritengo che questa non sia soltanto una modalità differente con cui svolgere prestazioni sanitarie ma un vero cambiamento che riguarda la professione medica, da affrontare in modo consapevole e riflessivo. Medici e infermieri devono essere coinvolti in questo percorso che deve prevedere strumenti per misurare l’efficacia e la qualità delle cure.

One thought on “Telemedicina, quello che le linee guida non dicono

  1. Enzo Chilelli 4 Maggio 2022 / 11:56

    Caro Massimo,
    pur se condivisibili i tuoi dubbi provo a parlarti di un’esperienza personale, la disabilità di mio padre.
    Dal 2017 (91 anni) e fino alla sua scomparsa poco più di un mese fa è stato invalido non deambulante, ebbene in questi 5 anni ha visto cinque volte in tutto qualche medico ed in particolare una volta per il controllo sulla necessità dei pannoloni (lo Stato non si fida del MMG che li prescrive?), tre volte per le vaccinazioni ed una per uno scompenso.
    Io credo che l’infrastruttura di telemedicina, nel nuovo contesto territoriale possa e debba servire anche per offrire ai caregiver (i familiari costretti a traformarsi in infermieri ed a volte medici) per avere dei punti di contatto più efficienti ed immediati (ho richiesto una visita geriatrica per avere il letto con le sponde ad ottobre e la telefonata per l’appuntamento è arrivata dopo il decesso di mio padre).
    Insomma, l’auspicio è che con il PNRR si riesca a dare una sforbiciata alla burocrazia, spesso becera e che riporti medici ed infermieri a fare il loro mesiere di cura eliminando tutta la parte amministrativa e cartacea che oggi impegna troppo del loro tempo.
    Sorrido ogni volta che vado in famacia nel vedere che sul promemoria non c’è il Codice Fiscale che bisogna dare a parte, che il farmacista deve stampare la ricetta ed incollarci sopra le fustelle dei farmaci e poi scrivere il numero progressivo che gli da il sistema regionale.
    Siamo nel 2022, possibile ch non si riesce a semplificare neppure questo?

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