Medicina di popolazione e privacy sono in contraddizione?

La domanda viene spontanea dopo le dichiarazioni dell’assessore alla salute della regione Lazio secondo cui le attuali regole sono così stringenti che non consentono la stratificazione del rischio per i bisogni di salute.

La riforma dell’assistenza territoriale si basa sul concetto di medicina di popolazione (in inglese Population Health Management), una branca della medicina che si pone come obiettivo la promozione della salute della popolazione di riferimento, attraverso l’utilizzo di modelli di stratificazione ed identificazione dei bisogni di salute basati sull’utilizzo di dati.

Il modello di stratificazione proposto da Agenas, che utilizza informazioni relative ai bisogni clinici assistenziali e sociali della persona, ha la finalità di individuare interventi appropriati, sostenibili e personalizzati che vengono definiti nel Progetto di Salute.

Questo strumento è di supporto nella presa in carico della persona in termini olistici e permette non solo la gestione dei bisogni socioassistenziali ma anche di effettuare le valutazioni di processo e di esito relative a ciascun individuo a prescindere dal livello di rischio.

La valutazione si articola su due livelli: quello della singola
persona, con cui viene definito il Progetto di Salute e i relativi interventi; quello di popolazione, utile ai fini di programmazione e verifica dei risultati raggiunti dai servizi sanitari e sociosanitari nella
comunità di riferimento.

È quindi evidente che per realizzare la prima servano dati puntuali e personali che, secondo l’assessore Alessio D’Amato, senza nuove regole sulla privacy non è possibile realizzare. L’assessore ha precisato che il Lazio ha un modello di stratificazione del rischio della sua popolazione molto avanzato cui è stato posto un divieto dal Garante della Privacy che ha aperto una procedura nei confronti di Lazio, Puglia, Emilia Romagna, Lombardia, Piemonte, Toscana, Veneto e Provincia Autonoma di Bolzano, nell’ambito dell’elaborazione di metodologie predittive dell’evoluzione del fabbisogno di salute. L’assessore ha quindi rivolto un appello al ministro della sanità affinché intervenga sul tema.

Dalle informazioni disponibili non è chiaro l’intervento del Garante del quale non ci sono comunicazioni sul suo sito istituzionale. È probabile che questi non consenta alle regioni di detenere e trattare dati personali, non anonimizzati, poiché queste non perseguono direttamente finalità di cura che sono invece delegate alle aziende sanitarie. In questa ottica, se corrispondesse al vero, la regione potrebbe aggregare dati, senza poterli visualizzare, il cui uso però dovrebbe essere delegato alle aziende sanitarie (un po’ come avviene con il fascicolo sanitario elettronico).

Il tema è davvero importante e, appena ci saranno maggiori dettagli, tornerò sull’argomento.

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