Le lezioni del COVID-19: 3 – quale futuro per la telemedicina dopo l’emergenza?

La pandemia ha determinato una forte accelerazione all’adozione della telemedicina, sopratutto le televisite. Possiamo considerarla una modalità ormai acquisita o rimarrà un fenomeno passeggero?

Di necessità virtù. Possiamo sintetizzare così l’espansione, finalmente, della telemedicina durante la pandemia. Passata però l’emergenza, con il ritorno alle normali attività cliniche in presenza, che spazio ci sarà per la telemedicina in Italia?

La risposta, a mio avviso, dipenderà da come verrà considerata e utilizzata la telemedicina. Se questa verrà vista come una modalità per svolgere a distanza parte della tradizionale pratica clinica o se, invece, rappresenterà un fattore abilitante per lo sviluppo di nuovi modelli di cura incentrati, anche, sul digitale.

La differenza può sembrare sottile ma tra un approccio e l’altro le implicazioni che ne derivano sono sostanziali.

Nel primo caso, il più diffuso purtroppo, si utilizza la telemedicina per trasformare, in digitale, una serie di processi che fanno parte del workflow clinico tradizionale. L’ambulatorio da fisico diventa virtuale. La visita in presenza viene sostituita da quella in video. Le attività prima e dopo la visita rimangono le stesse, cambia il media che da fisico diventa digitale.

Gli orari rimangono gli stessi, le modalità di accesso pure (la prenotazione) e le relative incombenze. Il paziente ottiene gli stessi servizi con la comodità però di usufruirli a distanza, senza doversi spostare, a patto naturalmente di avere dimestichezza con il digitale e di disporre di una connessione di buona qualità, due aspetti non scontati. Per contro perde il contatto fisico con il medico, l’interazione è peggiore e meno efficace.

La telemedicina non è però solo televisite. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), oltre alla creazione di presidi territoriali (Case e Ospedali della Comunità, Centrali Operative Territoriali), rispettivamente 1.288 e 381, prevede un processo di trasformazione digitale delle cure attraverso la telemedicina per connettere i pazienti domiciliari con i medici (con il telemonitoraggio e la televisita).

Se per il domicilio si è quindi pensato di ricorrere alla telemedicina, a supporto di modelli per la cura e l’assistenza dei pazienti cronici, come il Chronic Care Model, per la rimanente assistenza territoriale si è disegnato un modello di “medicina assistita dalle tecnologie digitali”.

La capacità di raggiungere il paziente dovunque si trovi, grazie a internet, di interagire con lui grazie a canali digitali, come app, chat-bot, sistemi telefonici con riconoscimento della voce (IVR), di gestire una relazione attraverso CRM, sono tutte potenzialità ancora poco sfruttate e, in ogni caso, pensate per essere accessorie o secondarie rispetto al lavoro dei medici e degli infermieri.

Se pensiamo alla telemedicina anziché come a una modalità con cui fare “medicina assistita dalle tecnologie digitali” allo strumento per realizzare una “medicina incentrata sulle tecnologie digitali” o, più semplicemente, medicina digitale, il quadro cambia completamente.

I pazienti sono talmente tanti che non è realistico pensare che possano essere gestiti esclusivamente con modelli di medicina tradizionali, né che la telemedicina possa essere la “bacchetta magica” con cui risolvere il problema. Se poi provassimo ad ampliare l’orizzonte e pensare a coloro che non sono ancora pazienti, diventa ancora più evidente come i modelli di medicina attuali non siano in grado di offrire una risposta soddisfacente ai bisogni di prevenzione.

Le tecnologie, nella storia della medicina, hanno cambiato il modo con cui si diagnosticano e si curano le patologie. Lo stesso vale per la telemedicina e, più in generale, per le tecnologie digitali. Il problema però è che, a differenza ad esempio di una TAC o di una risonanza, la cui utilità e applicabilità al processo diagnostico sono stati evidenti e facilmente comprensibili ai medici e ai gestori della sanità, nel caso delle tecnologie digitali questo processo di acquisizione e metabolizzazione è più difficile. Il mondo dell’ICT e quello della medicina hanno percorsi formativi differenti, parlano lingue diverse e poca conoscenza uno dell’altro.

È anche per questo che sto trascorrendo la mia estate al computer, ma di questo vi parlerò più avanti.

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