
È stato inaugurato il 4 novembre 2019 ed è costato 25 milioni di euro. Le parole chiave che sono state annunciate alla sua presentazione: innovazione, efficientamento energetico, sicurezza, risparmio.
Ciò che mi colpisce di più sono le ultime due. Le aspettative, dichiarate nella conferenza stampa, erano di risparmiare ogni anno 2,5 milioni tra locazioni, logistica, licenze, hardware e servizi.
Non so come sia stato calcolato il risparmio, ma una cosa è evidente a tutti: la Regione Lazio non ha disaster recovery. Una struttura nata per “centralizzare e migliorare i servizi informatici rivolti ai cittadini, tra gli altri, nei settori sanitario, del lavoro, della cultura, del turismo e dell’agricoltura”, è unica nel vero senso della parola.
Una volta messa ko da un attacco ransomware non c’è alcuna infrastruttura in grado di assicurare la business continuity di tutti i servizi regionali.
Alla base della safety c’è l’analisi degli incidenti e lo studio delle cause che li hanno determinati al fine di prendere gli opportuni provvedimenti per evitare il ripetersi di questi eventi.
Ma quanti sono i data center regionali davvero sicuri e, soprattutto, dotati di piani e procedure di disaster recovery? Qual è il livello di resilienza che hanno le infrastrutture regionali e sanitarie?