I collassi dei siti di grande traffico, ultimo caso quello del Lazio per le vaccinazioni agli over 80, dimostrano che infrastrutture digitali e competenze adeguate non si improvvisano.
La sanità, specie la pubblica, è uno dei settori più restio a impiegare soluzioni informative basate sul cloud.
I responsabili dei sistemi informativi vedono con sospetto le applicazioni che vengono loro offerte come Software as a Service (SaaS). Hanno il timore di non poter esercitarne il controllo e di consegnare a terzi il loro patrimonio informativo. Meglio allora chiedere e implementare soluzioni on premise.
Le società in house, che in teoria dovrebbero essere più attrezzate, e le aziende sanitarie, installano sui loro server le applicazioni che sono rivolte al pubblico e che devono reggere picchi di carico considerevoli. Se questo approccio può funzionare per gli utenti interni di un’azienda sanitaria, il cui numero oltretutto cresce in modo controllato, è del tutto inadeguato quando l’ordine di grandezza degli utenti cresce di alcune unità.
Il problema, in verità, non riguarda soltanto i tecnici delle società in house e delle aziende sanitarie, che sottostimano il problema, ma anche il personale delle software house che sviluppano gli applicativi.
Sviluppare e mettere in esercizio, garantendo prestazioni adeguate, applicazioni web sottoposte a grande traffico richiede infrastrutture digitali adeguate, competenze specifiche ed esperienza: tutte cose che non si improvvisano.
Ripeto: un conto è sviluppare un’applicazione adoperata da qualche migliaia di utenti, distribuiti lungo l’arco della giornata in più turni, ben diverso è realizzare un’applicazione che sarà utilizzata in contemporanea da decine o centinaia di migliaia di persone in contemporanea.
Quello del sito della regione Lazio per prenotare la vaccinazione per gli over 80 è solo il più recente esempio, ma certamente non sarà l’ultimo.
Anche la sanità, come è già avvenuto per altri settori, deve migrare sul cloud.