La telemedicina, per svilupparsi, deve integrarsi nel Servizio Sanitario Nazionale

La parola chiave di qualsiasi progetto deve essere interoperabilità: tecnologica, organizzativa, clinica.

La buona volontà non basta. Per introdurre la telemedicina nei servizi e nei processi della sanità serve un approccio di insieme che non può essere limitato alla mera introduzione di una piattaforma tecnologica o all’affidamento a terzi di alcune mansioni.

La telemedicina deve calarsi nei flussi operativi di prevenzione, assistenza e cura dei pazienti in una logica di integrazione delle cure. Le piattaforme tecnologiche devono essere “interoperabili by design“, ossia concepite nativamente come un insieme modulare di componenti software e di servizi in grado di integrarsi con i sistemi informativi delle aziende territoriali e di quelle ospedaliere.

I sistemi con cui queste piattaforme devono integrarsi sono il CUP (liste di lavoro), il Repository Clinico (Dossier Sanitario Elettronico) e il Fascicolo Sanitario Elettronico (consultazione documenti), la cartella clinica elettronica ambulatoriale (dati e referti), i sistemi di refertazione (stesura referto e alimentazione DSE – FSE), i sistemi di prescrizione (sistemi di accoglienza centrale o regionali), quelli per l’emissione dei certificati (INPS – INAIL), i sistemi amministrativi (ticket, rendicontazione), e di gestione della libera professione.

Le piattaforme devono quindi essere costruite intorno a un “core” per l’interoperabilità, ad esempio HL7 FHIR, 2.X e IHE. Molte di esse sono state invece progettate come dei monoliti applicativi autoconsistenti in cui l’interoperabilità è vista come una componente marginale. Quello che mi sento rispondere spesso, quando mi presentano queste piattaforme, è che “certo, il sistema può integrarsi con altri” non che il sistema sia nativamente interoperabile per concezione.

L’integrazione tecnologica non è però sufficiente ed è, tutto sommato, la più facile da realizzare. La vera sfida è come impiegare e sfruttare le possibilità che la telemedicina offre calandole nei processi e nei servizi del SSN. Parlo di sfida perché non si tratta soltanto di pensare ai processi e ai servizi che ci sono oggi, ma soprattutto a quelli che potrebbero esserci domani grazie anche e soprattutto alla telemedicina.

In altre parole la telemedicina è un fattore abilitante per sviluppare nuovi modelli di integrazione delle cure. Il problema però è che, salvo poche eccezioni, questi modelli esistono sulla carta, perlopiù come concetti teorici.

Riguardo l’integrazione tecnologica vediamo alcuni tentativi di delineare un quadro di insieme, come ad esempio la delibera della Regione Lazio che indirizza le televisite nell’ambito dei sistemi informativi delle aziende sanitarie.

Riguardo invece gli aspetti organizzativi e clinici, la tendenza è quella di indire delle gare per appaltare all’esterno del SSN alcuni servizi di triage e monitoraggio dei pazienti cronici, a volte anche con qualche forma di care management. Su come questi però si debbano integrare, dal punto di vista organizzativo e clinico, con i professionisti del SSN, c’è poco o nulla. Si pensa che la disponibilità, ossia l’accesso alla piattaforma di telemedicina da parte di questi, possa magicamente realizzare l’integrazione delle cure.

In altre parole che l’integrazione o la condivisione tecnologica sia sufficiente per ottenere l’integrazione delle cure. Purtroppo non è così, non ci sono scorciatoie né strumenti magici che, da soli, possano risolvere gli aspetti relativi alla responsabilità, alla presa in carico, alla ripartizione dei compiti tra i diversi setting assistenziali.

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