Tra i sei step dell’agenda per una Value Based Healthcare c’è la realizzazione di una piattaforma tecnologica che supporti il ciclo di cura dei pazienti e fornisca informazioni su esiti, aderenza terapeutica e costi. Come al solito ci si sofferma, tra gli esperti del settore, sulle tecnologie abilitanti anziché sui processi e le funzioni da realizzare. Vediamo quali sono.
La Value Based Healthcare (VBHC) prevede l’identificazione di gruppi omogenei di pazienti sui quali impostare i modelli di presa in carico basati su percorsi di cura (Population Health Management). Per questo processo è molto importante la capacità di profilazione dei pazienti e l’assegnazione della corretta classe di rischio clinico. In aggiunta all’analisi che oggi viene svolta basandosi sui codici di esenzione, i consumi farmaceutici e i codici delle diagnosi presenti nelle SDO e nelle prescrizioni ambulatoriali, dove queste ci sono, è possibile realizzare sistemi basati su motori di regole con cui implementare algoritmi complessi in grado di considerare e valutare altre tipologie di informazioni, anche attraverso un’analisi semantica. Nella profilazione andrebbe anche preso in esame il rischio farmacologico nei pazienti in politerapia.
La VBHC raccomanda un focus centrale sugli esiti rilevanti per i pazienti. Per questa ragione sarebbe necessario, come prima cosa, un modello clinico di riferimento per le patologie trattate nei percorsi di cura nel quale definire e correlare le condizioni cliniche, gli eventi e gli esiti. In altre parole si tratta di superare l’attuale impostazione che vede il percorso assistenziale come un mero elenco di attività, prese da un elenco standard (impostato sulla base dello storico o su protocolli) per impostare un piano che consideri e misuri le condizioni del paziente, fissi degli obiettivi, imposti delle azioni al verificarsi di alcuni eventi, valuti gli esiti raggiunti. Ossia implementare una logica clinica nel sistema di care management che aiuti gli operatori non solo a ricordare le attività da svolgere.
La VBHC richiede una forte integrazione delle cure. A livello informatico sono due al momento gli approcci che si stanno perseguendo, talvolta insieme: lo sviluppo di piattaforme ad-hoc con cui gestire i PDTA, per i medici delle cure primarie, gli specialisti e i care manager; la condivisione di informazioni mediante il Fascicolo Sanitario Elettronico (FSE) ed eventualmente di documenti ad hoc (Profili Sintetici di Patologia / PDTA). Il primo presenta il problema che i professionisti – in primis i medici di famiglia ma anche alcuni specialisti, ad esempio i diabetologi – sono molto restii ad adoperare altre piattaforme software che non il loro applicativo di base. A parte l’abitudine c’è effettivamente il problema di frammentare le informazioni su più sistemi e in alcuni casi ripetere alcune attività, ad esempio la prescrizione, su due applicazioni differenti. Il secondo, in teoria più coerente con il paradigma dell’interoperabilità, presenta il limite che i sistemi in uso non sempre possiedono tutte le informazioni necessarie, discorso che si amplia se pensiamo ad una logica clinica molto più spinta di quanto oggi sia presente nei “gestionali” della medicina generale. C’è poi il problema di dove attestare una serie di processi che richiedono un database dedicato, funzione che non può essere assolta dal FSE.
La VBHC prevede infime di misurare esiti e costi, valutare l’appropriatezza clinica degli interventi eseguiti e l’aderenza terapeutica dei pazienti. Questi obiettivi si possono ottenere con l’adozione di Clinical Decision Support System (CDSS) sia nella pratica clinica (ex ante), sia per l’analisi e la valutazione (ex post). L’uso di questi strumenti permette un’analisi molto più completa rispetto a quanto oggi si fa, per lo più un riscontro tra le attività previste dai PDTA di riferimento (standard) e quanto realmente eseguito. I CDSS evoluti sono in grado di valutare l’operato dei medici in riferimento alle evidenze mediche, ai protocolli e alla linee guida. Sono altresì in grado di segnalare e misurare i rischi che le decisioni o le non decisioni dei medici hanno indotto, ad esempio la mancanza di determinati controlli, i rischi di interazioni o di effetti avversi.
Proverò a sviluppare questi temi in alcuni articoli di prossima uscita.