Sanità digitale e disumanizzazione della medicina: rischio o conseguenza inevitabile ?

La preoccupazione che la sanità digitale possa contribuire alla disumanizzazione della medicina è molto sentita, sia da parte dei professionisti sanitari, sia dai pazienti. È un tema importante, merita una riflessione profonda che però non vedo compiere nel nostro settore. Proviamo quindi a dare un piccolo contributo.

Le tecnologie biomediche hanno determinato un indubbio cambiamento nella medicina. Le capacità diagnostiche delle nuove tecnologie hanno fatto sì ad esempio che la semeiotica strumentale prevalga oggi sulla semeiotica medica tradizionale. Secondo i più critici, l’introduzione di queste tecnologie ha conciso e favorito l’impoverimento antropologico del medico, riducendone la sua dimensione umana e solidaristica, provocando un progressivo distacco dal paziente.

Il tema è naturalmente molto complesso e anche controverso. Sicuramente il paziente chiede, prima ancora di essere curato, attenzione e disponibilità. La loro carenza è spesso causa di insoddisfazione e delusione che poi induce spesso il paziente a cercare, ad esempio in internet, informazioni e talvolta rassicurazioni che non ha avuto.

A tutto ciò si aggiungeranno sempre più app, chatbot, sistemi di telemonitoraggio, il futuro prossimo della sanità digitale. La domanda che dobbiamo farci è se esiste il rischio che l’introduzione di queste nuove tecnologie possa contribuire ad aumentare il distacco tra medico e paziente, ossia la disumanizzazione della medicina, oppure se più che un rischio ne sia la logica conseguenza, quindi inevitabile.

Una prima osservazione che possiamo fare è che spesso chi progetta e sviluppa queste soluzioni appartiene ad una generazione molto più “digitale” di quella degli utenti – i maggiori fruitori di servizi sanitari sono gli anziani. I primi vivono nella sfera digitale con inclusione e naturalezza, non percepiscono e non comprendono le resistenze di chi è cresciuto in una società dove le relazioni erano esclusivamente personali, dirette.

È vero che esistono tanti anziani che, ad esempio, utilizzano sistemi di audio – video conferenza per interagire con i propri figli o nipoti, impiegano sistemi di messaggistica per comunicare con amici e parenti. Non sono restii a impiegare le nuove tecnologie, se queste offrono loro un modo per essere più in contatto con i loro cari. Se invece queste tecnologie diventano un surrogato delle relazioni umane, il senso di solitudine e di sconforto aumenta anziché diminuire.

Il problema non è soltanto circoscritto alla richiesta di attenzione e disponibilità del paziente. Alcune tecnologie consentono, risorse umane permettendo, di aumentare le possibilità di contatto e di interazione con i pazienti. In molti progetti di telemedicina i soggetti seguiti in monitoraggio domiciliare dichiarano di sentirsi più seguiti e curati. In quei casi invece dove l’interazione umana non c’è, pensiamo ad un’app o a una chatbot, ciò che viene a mancare è l’empatia. Un sorriso, una carezza o una gentilezza sono spesso altrettanto importanti di una buona cura e, dove questa non c’è, gli unici gesti che portano sollievo e conforto.

Nel progettare e realizzare le nuove soluzioni dobbiamo quindi considerare non soltanto gli aspetti tecnologici, ma anche quelli psicologici e sociologici. È necessario mettere al lavoro, insieme, differenti professionalità per ragionare come impiegare le potenzialità che le tecnologie ci offrono, con una visione olistica del paziente e dei suoi bisogni, evitando di guardare solo al processo che vogliamo digitalizzare o alla malattia che vogliamo trattare.

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