Nel settore delle assicurazioni automobilistiche è una prassi consolidata, anche in Italia. Ma cosa succede se i dati sono quelli medici e la proposta riguarda una polizza sulla vita ? Negli USA accade da tempo e le offerte sono sempre più aggressive.
La scorsa settimana, la compagnia assicuratrice John Hancock Financial ha annunciato che d’ora in avanti venderà soltanto “polizze interattive” che permettono agli utenti di condividere i propri dati sanitari in cambio di uno sconto. Attraverso queste polizze la compagnia riceve dati sanitari e li adopera per ricalcolare il premio assicurativo e concedere sconti ai suoi clienti.
Secondo Brooks Tingle, presidente e CEO della compagnia, il ramo vita condivide, con i suoi clienti, lo stesso obiettivo di fondo: una vita lunga e sana. Ecco perché un’iniziativa di questo genere è, a suo avviso, una operazione win – win con i suoi clienti.
Questi possono guadagnare sconti in molti modi: partecipare a corsi online sull’alimentazione e la nutrizione; essere visitati da medici; indossare un dispositivo fitness, come ad esempio un FitBit e rispettare degli obiettivi di salute prefissati.
Questo tipo di polizze ha però sollevato perplessità sul fronte della privacy e in quello della responsabilità medica. Chi è responsabile se i dati indicano un problema cardiaco, ad esempio un’aritmia ?
Tingle evidenzia che è il cliente a decidere quali dati condividere e che può limitarsi a soli alcuni di quelli che il dispositivo registra; c’è poi da ragionare sul fatto che non sempre questi dispositivi producono dati accurati e affidabili.
Nel caso dell’Apple Watch, il cliente che lo acquista e che decide di condividere i dati con la compagnia riceve uno sconto in funzione dei “Vitality Points” che ottiene, che scaturiscono dall’attività fisica che si esegue (corsa, bici, nuoto, etc..).
In fondo non è poi diverso dal guidare rispettando i limiti e le regole della strada. C’è però una differenza di fondo: se è vero che la salute dipende molto dai nostri comportamenti e stili di vita, è anche vero che ci sono altri fattori fuori dal nostro controllo.
Vale dunque vendere l’anima (i nostri dati) al diavolo (la compagnia assicuratrice)?