
Siamo davvero pronti a impiegare la telemedicina? Come? La telemedicina, senza nuovi modelli di cura e assistenziali, perde buona parte della sua utilità.
Non c’è convegno, articolo o dichiarazione in cui non si enfatizzi l’importanza e l’utilità della telemedicina. Dietro queste aspettative c’è, come ormai accade spesso, una semplificazione di una realtà complessa.
Il significato etimologico del termine telemedicina è “medicina da lontano” o anche “medicina a distanza”. La medicina tradizionale si è quasi sempre svolta in presenza, ossia con medici e pazienti nello stesso luogo e nello stesso tempo. L’ospedale, l’ambulatorio, lo studio medico sono i luoghi in cui si pratica la medicina a cui si stanno aggiungendo le case e gli ospedali di comunità. La medicina a casa del paziente si è sempre svolta portandovi medici e infermieri.
La possibilità di connettere medici con medici, medici e infermieri con i pazienti elimina la barriera fisica della distanza consentendo visite, consulti, assistenza e rilevazione di parametri fisici da remoto. Per i pazienti e i loro caregiver è un’opportunità che permette di evitare inutili spostamenti con risparmio di tempo e denaro. In alcuni casi è un vantaggio anche per i professionisti sanitari che, altrimenti, sarebbero costretti a recarsi al domicilio del paziente anche se, a onor del vero, è una pratica poco diffusa. Essere visitati a casa, ad esempio, da un medico di famiglia o da un pediatra di libera scelta è oggi molto difficile.
Una televisita richiede lo stesso tempo di una visita tradizionale o, talvolta, un po’ di più (ad es. per problemi di connessione). L’esperienza, sia per i medici, sia per i pazienti, è inferiore a quella in presenza. La televisita non fornisce lo stesso campo visivo che, in alcuni casi, è utile al medico per “leggere” segni e sintomi che il paziente potrebbe non riferire. Ma anche per il paziente la televisita non offre la stessa esperienza di una visita in presenza. Ci sono poi da considerare tutti i limiti che la separazione fisica determina e che limitano l’uso della televisita solo ad alcuni ambiti (ad es. no prime visite o visite dove è necessaria un’interazione fisica con il paziente).
Il teleconsulto può essere molto utile per supportare modelli di cura integrati ospedale – territorio o protocolli diagnostici integrati, mentre il telemonitoraggio può consentire la medicina di iniziativa. La telemedicina può essere dunque un fattore abilitante per questi nuovi modelli di cura e assistenziali ma, da sola, senza di essi, non consente quella “rivoluzione” che molti auspicano. È in altre parole uno strumento o se volete una modalità che può essere molto o poco utile a secondo di come la si utilizza.
Nella mia esperienza c’è invece, molto spesso, più attenzione agli aspetti tecnici e logistici della telemedicina che non sui processi clinici e organizzativi. La tentazione è di adoperare la telemedicina senza cambiare i modelli di cura e assistenziali, aspetto molto più complesso e difficile che non utilizzare una nuova tecnologia. Atteggiamento che, in verità, è frequente in tutta la digitalizzazione sanitaria in cui spesso ci si limita a gestire i dati senza rivedere in alcun modo i processi clinici e assistenziali.
Non basta fare a distanza ciò che fino ad oggi si è svolto in presenza. Se vogliamo davvero sfruttare la potenzialità della telemedicina dobbiamo ripensare i processi clinici e assistenziali così da realizzare l’integrazione delle cure e operare secondo la medicina di iniziativa.