Cosa ci insegna il Coronavirus: l’entropia è un problema, non la soluzione

Biro-2nd-Law

Nella gestione delle emergenze la creatività può essere una risorsa, ma può facilmente diventare un ulteriore problema da gestire.

L’emergenza COVID-19 ha regalato al mondo della telemedicina un palcoscenico del quale avremmo fatto volentieri a meno per ovvii motivi, ma in ogni caso l’ha fatto.

Ottimo dal punto di vista della diffusione di consapevolezza e di conoscenza presso un pubblico generalista, ma proviamo a guardare ottimisticamente al “dopo”.

Adesso, in queste giornate convulse fatte di hackaton e di call for ideas, è tutto un fiorire di bozze progettuali, di idee più o meno originali (a volte, più), di proposte avanzate da sicuramente bravissimi sviluppatori probabilmente un tantino a digiuno di competenze specifiche rispetto all’ambito sanitario.

Ho provato a leggere qualcuna delle centinaia di idee e di Apps più o meno già realizzate e devo dire qualche brivido mi è venuto.

Belle idee, ripeto. Interfacce affascinanti, user experience ottima. Ma nessuna idea di come sia fatto “tutto quello che ci sta dietro”.

Integrazione coi sistemi informativi sanitari retrostanti: zero.

Conoscenza dei processi ospedalieri e territoriali: zero.

Consapevolezza dei vincoli normativi e clinici: zero.

Da anni tutti quelli che si occupano di ICT applicate al mondo della Sanità vanno scandalizzandosi di quanto gli attuali sistemi informativi ospedalieri e territoriali utilizzati in Italia siano troppo frammentati. Figurarsi come sarebbe domani se oltre agli attuali silos applicativi avessimo anche il mare magno delle App sviluppate dai bravi creativi.

A fianco di tutta questa fantasia tecnologica ci sono i minimalisti: quelli che “basta usare Skype e WhatsApp e si risolve tutto”.

Ho letto di “come fare una televisita usando Skype”. Tutto bellissimo in questo momento di emergenza totale, dove impera la necessità di fare tutto in fretta e di poter cominciare domattina a fare televisite.

Ma mi raccomando: non facciamo che diventi un’abitudine.

Ci sarà un motivo se in quel quasi mezzo mondo dove la telemedicina non è soltanto un dibattito teorico ma la si fa quotidianamente si utilizzano piattaforme ad-hoc. Non può essere che noi italiani siamo più furbi di loro e abbiamo trovato l’uovo di Colombo gratuito.

Non è tanto una questione di GDPR: giuristi competenti ci hanno spiegato come anche Skype o simili possono essere impiegati senza infrangere una norma e un sacrosanto diritto alla tutela dei dati personali.

È, nuovamente, una questione di integrazione.

Se faccio una televisita, deve esserci un’identificazione certa del paziente: “Mario Rossi” non basta.

Il referto e le prescrizioni alla fine dell’atto medico (la televisita è un atto medico, ricordiamocelo bene) devono finire in Cartella, e magari anche in Fascicolo Sanitario Elettronico. E dovrebbero finirci senza uscire da una piattaforma, entrare nell’applicativo e ridigitare tutto da capo.

Il mercato delle App e delle piattaforme di telemedicina esiste, soprattutto esiste un insieme di aziende ICT che da decenni si occupano esclusivamente di Sanità e la conoscono in ogni suo anfratto.

Provo a fare un esempio macabro, anche per esorcizzare questo momento complicato: lo sanno, i creativi delle App, quali sono i flussi informativi che si scatenano quando un paziente muore?

Oppure: lo sanno, quali sono le competenze e i flussi in ambito territoriale? Che ruolo hanno, in una situazione di epidemia, gli uffici di Igiene Pubblica? Come devono girare le informazioni prodotte dalle loro fantastiche App?

Non vorrei sembrare troppo critico rispetto a tutta questa fantasia scatenata (a volte, purtroppo, scatenata dalle istituzioni, vedi la recente call del Ministero dell’Innovazione) ma, alla fine e nonostante tutto, prevale la saggezza dei proverbi.

A Milano si dice: “Ofelè, fa el to mestè”. Tradotto significa: “Pasticcere, fai il tuo mestiere”.

Serve un pochino meno di fantasia e un tantino in più di rispetto per le professionalità e per le aziende che hanno investito e investono quotidianamente per accrescere le loro competenze al servizio della Sanità in questo Paese.

La Sanità è una cosa seria e complessa, ricordiamocelo tutti. Anche nei Palazzi Romani.

2 – Continua

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