Cosa ci insegna il Coronavirus: i limiti delle cure disintegrate

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A complicare l’emergenza Coronavirus ci sono gli attuali limiti della sanità digitale. In questa nuova serie di articoli cercheremo di sottolineare i più importanti.

Molte persone, io tra questi, hanno sostenuto in passato come l’integrazione delle cure sia un tema prima di tutto organizzativo, poi tecnologico. Quando è arrivato lo tsunami Coronavirus ci siamo però resi conto che, senza strumenti e infrastrutture digitali, predisporre una rete assistenziale integrata con la carta o con i moduli elettronici è inefficiente, poco sicuro e inefficace.

La mancata integrazione ospedale-territorio, l’approccio al territorio con sistemi a silos che non comunicano tra di loro (MMG con l’ADI, medici di medicina generale con quelli della continuità assistenziale, l’ADI con la prevenzione e così via), dividono ed isolano i tanti professionisti che oggi sono impegnati nella lotta al Coronavirus che non riescono a fare squadra.

La buona volontà, purtroppo, non basta. Le email e WhatsApp non sono sufficienti per gestire dei processi che coinvolgono tanti operatori e, purtroppo, tante persone. I numeri sono davvero enormi e non è possibile affidarsi a strumenti di comunicazione per trattare un’emergenza sanitaria di questa portata.

Molti ormai definiscono la pandemia Coronavirus come una guerra che, a differenza di quelle reali, stiamo combattendo con logiche e strumenti di più trent’anni fa. Già da diversi anni le guerre si combattono con un approccio net-centrico e tutti i sistemi della difesa sono connessi e interoperabili. Nella sanità abbiamo un esercito di professionisti disconnessi che adoperano tanta carta e che non condividono informazioni e processi.

Le responsabilità di questa situazione sono molte e diffuse a tutti i livelli:

  • il management delle istituzioni, delle regioni e delle aziende sanitarie che hanno sottovalutato l’importanza dell’integrazione delle cure e non hanno definito e intrapreso un percorso in tal senso;
  • gli informatici che non sono stati capaci di uscire dal loro mondo delle tecnologie per calarsi in quello più complicato dei processi clinici e dei modelli assitenziali;
  • il personale medico e infermieristico che ha visto spesso l’informatizzazione come un problema o una seccatura;
  • i medici di medicina generale, gelosi dei loro dati e della propria autonomia, riluttanti verso qualsiasi modello di integrazione informativa;
  • i produttori di software che si sono adeguati ad una domanda frazionata e frammentata e hanno sviluppato le proprie applicazioni a silos

C’è da sperare che, a crisi finita, si apra una seria discussione su come impostare la sanità del futuro che deve essere net-centrica, sia a livello organizzativo, sia tecnologico.

La mancata integrazione delle cure non è però l’unico problema.

1 – Continua

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